WEST LUXOR - EGITTO
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Luxor West Bank, la riva dell’Antica Tebe riservata ai morti e interdetta al popolo. In questo luogo, tra impervie pareti rocciose, si trovano le necropoli che hanno ospitato i grandi protagonisti dell’Antico Egitto tra cui il valoroso Seti I e la bellissima Nefertari. Data la sacralità e l’opulenza delle tombe reali, l’accesso alla riva ovest del Nilo era consentito solo ai sacerdoti. Tuttavia, per facilitare la logistica ed ovviare al problema dell’attraversamento quotidiano del grande fiume, durante i periodi di costruzione delle tombe era permesso anche a uomini non appartenenti alla casta sacerdotale di accedere alla riva occidentale.
Operai, artigiani e architetti incaricati della costruzione delle tombe, godevano della possibilità di risiedere per il tempo necessario ai lavori in una zona attigua alla Valle delle Regine e al Tempio di Hatshepsut, nota come Deir el-Medina. Nonostante il modesto stato di conservazione del sito, la struttura delle abitazioni ed il rinvenimento di molti oggetti, tra cui papiri ed archivi, hanno permesso agli archeologi di affermare con certezza che questo fosse un villaggio operativo a tutti gli effetti in cui vivevano cavapietre, manovali, carpentieri, scribi, scultori, pittori e architetti. Gli scavi hanno riportato alla luce 68 abitazioni all’interno del muro di cinta e 40 case all’esterno della recinzione, adibite al personale di servizio della comunità di Deir el-Medina. La fondazione del villaggio è stata datata attorno al 1500 a.C. durante il regno di Thutmosis I, il cui cartiglio è riportato in alcuni mattoni del muro di cinta del villaggio. Deir el Medina rimase abitata per più di 400 anni, fino a quando venne definitivamente abbandonata dopo che la Valle dei Re non fu più usata come necropoli dai sovrani a partire dalla XXI dinastia. Nel corso della sua storia, la città fu ingrandita almeno due volte, sotto Thutmosis III e Ramses II. Un censimento della XX dinastia, che ci è pervenuto su un papiro, indica un totale di centoventi focolari e una popolazione che può essere valutata a milleduecento persone circa.
L’insediamento ricopre un’area di 5600 mq e si può ancora vedere l’antico muro di cinta che circondava il villaggio con due porte, una sul lato nord, l’entrata principale, e una a sud. Al suo interno il villaggio era diviso in due quartieri da una strada che andava da nord a sud, mentre due strade trasversali più piccole collegavano il versante est a quello ovest. Ciascuna abitazione era posta a spina di pesce lungo l’asse viario centrale e i muri esterni delle case erano intonacati di bianco, mentre sopra le porte, solitamente in rosso, era indicato il nome del proprietario. La prima stanza della casa, leggermente più bassa del piano stradale, era probabilmente un soggiorno con una costruzione in mattoni (forse un tavolo). Seguiva poi la stanza principale, dove viveva la famiglia. Questa stanza, che era la più grande e la meglio decorata, aveva una panca in mattoni e al centro vi erano una o due colonne in legno, mentre addossato a una parete si trovava un piccolo altare per il culto degli antenati. Da qui si accedeva a una o due camere da letto. L’ultima stanza era la cucina, dove si trovavano un forno, un mortaio e delle giare per l’acqua. Dalla cucina si poteva scendere in una cantina sotterranea per la conservazione del cibo o degli oggetti preziosi della famiglia. A nord del nucleo abitativo era stato costruito un grande pozzo per cercare di raggiungere la falda acquifera e fornire di acqua il villaggio. Nonostante la profondità dello scavo, circa 50 metri, il tentativo non ebbe successo, così il pozzo venne usato come discarica. È proprio da questo pozzo che ci sono giunti numerosi documenti, tra cui quattordici ostraka figurati e cinquemila letterari, oltre a numerosi archivi degli operai.

Lo studio condotto su questi reperti ha permesso di ricostruire una pagina importante circa le condizioni di vita della popolazione benestante, le modalità organizzative del lavoro per la costruzione delle tombe reali e gli avvenimenti di cui sono stati protagonisti gli abitanti di Deir el-Medina. La loro professione altamente specializzata e l’importanza fondamentale del ruolo rivestito, cioè la costruzione e la sacra decorazione delle mappe-pareti per il viaggio nell’aldilà del faraone, conferiva loro benefici e privilegi maggiori rispetto alla popolazione media. Questo elemento è dimostrato dal trattamento che ricevevano gli abitanti del villaggio. Il rinvenimento di molti papiri contenenti esercizi grammaticali e matematici, testimoniano l’esistenza di scuole a Deir el-Medina per i figli degli operai. Sappiamo inoltre che nella città vi era un tribunale che risolveva le contese interne. Alcune iscrizioni su ostraka contengono infatti la registrazione di cause portate davanti al tribunale, i cui membri erano gli stessi operai che lavoravano nelle tombe. Altri testi scritti, hanno fatto emergere la presenza di un ospedale in grado di garantire assistenza quotidiana agli operai feriti o alle famiglie. Anche a livello di approvvigionamenti godevano di un buon trattamento: tutti i lavoratori ricevevano un salario mensile in grano, orzo, carne, vino, sale, stoffe e legna, commisurato alle rispettive professionalità e responsabilità. Gli operai ricevano poi ogni giorno, acqua, verdure fresche e pesce. Testi coevi ci hanno tramandato la cronaca di alcuni scioperi e di manifestazioni di protesta degli abitanti del villaggio, durante il periodo ramesside, causati da gravi ritardi nella distribuzione delle derrate alimentari spettanti come retribuzioni agli artigiani.

Gli operai e i progettisti potevano anche dedicarsi al culto degli dei nelle numerose cappelle di Deir el-Medina. A nord del villaggio è ancora visibile la ricostruzione del tempio di Hathor, oggi perfettamente conservato, edificato da Tolomeo IV in una struttura che comprende anche templi più antichi. Sempre nella parte nord vi era una costruzione chiamata “posto di controllo della Tomba”. Qui gli operai ricevevano l’approvvigionamento giornaliero, il salario mensile e gli ordini di servizio. Le squadre di lavoro, note come ‘’le squadre della Tomba’’, erano formate generalmente dai 40 ai 60 individui, ma il numero variava di regno in regno. Gli addetti ai lavori erano divisi in due gruppi comandati da un caposquadra, la “destra” e la “sinistra”, ciascuna delle quali lavorava su una delle due metà della tomba reale, dandosi il cambio ogni 10 giorni. Il caposquadra aveva il compito di tenere una lista aggiornata delle presenze giornalieri e delle eventuali assenze con relative giustificazioni: malattia, parto della moglie, problemi familiari. Ovviamente i falsi malati o ritardatari erano sottoposti a sanzioni. Oltre al caposquadra, c’era uno scriba comune che aveva l’importante compito di tenere un giornale amministrativo su cui registrava quotidianamente i fatti più rilevanti, come l’avanzamento dei lavori, l’assenza degli operai, di approvvigionamenti, ecc. C’erano inoltre due Idenu che agivano come intermediari tra i lavoratori e i capisquadra per ogni esigenza operativa, due custodi della porta della tomba che sorvegliavano giorno e notte la tomba reale in costruzione, un gruppo di servi e serve che potevano essere portatori d’acqua, pescatori, taglialegna, vasai o lavandai, ed infine la Medjai, un corpo di polizia della necropoli composto da nubiani. Il lavoro si svolgeva durante tutto l’arco dell’anno e ogni otto giorni lavorativi ve ne erano due di riposo.

Durante questi due giorni, gli operai potevano dedicarsi alla costruzione della loro tomba, pregare nelle cappelle delle confraternite o partecipare a processioni religiose. Proprio all’interno delle loro piccole, ma bellissime tombe, si trovano altre testimonianze di comuni scene di vita e di come veniva visto il passaggio dalla vita alla morte da uomini non di stirpe reale, ma benestanti. Le tombe presentano delle bellissime decorazioni, degne del sapere artistico di questi artigiani, in forte contrasto con le generiche pitture sulla vita dell’aldilà trovate nelle tombe reali nella Valle dei Re e nella Valle delle Regine. Le tombe degli operai erano formate da una parte sotterranea che ospitava il corpo del defunto con il suo corredo funerario, mentre al di sopra del suolo vi era una cappella dedicata al culto funerario e una piccola piramide. Quando mi trovavo a West Luxor per visitare Medinet Habu e la Valla dei Re, con un notevolissimo sforzo, sono riuscita a farmi portare da un taxista in prossimità di Deir el-Medina. Nonostante il sito fosse aperto e avessi regolarmente pagato il biglietto d’ingresso, ho dovuto insistere parecchio per ottenere il permesso di entrare. Sia l’addetto alla vendita dei ticket, sia le guardie, continuavano ad insistere circa lo scarso interesse di Deir el Medina. Certa di essere nel posto giusto e dell’importanza di questi scavi, ho tenuto duro, lasciando da parte la cortesia e puntando sulla caparbietà. Dopo molti sorrisi forzati e le solite domande di rito (come mai sola e non con un tour operator, come mai ero decisa a perdere tempo in uno scavo di poco valore e, ovviamente, la mia appartenenza religiosa), sono riuscita ad accedere alla prima tomba, la TT359. La mia testardaggine è stata ripagata: una meraviglia. Nulla di simile alle tombe reali ieratiche, ma raffigurazioni più vivaci e semplici che fanno rivivere scene di vita comune.

La tomba TT359, è la tomba di Inherkhau, un caposquadra vissuto tra i regni di Ramses III e IV. Il suo nome significa letteralmente "Onuris appare" (Onuris era un'inflessione greca del nome del dio Iny-Hor). Inherakhau apparteneva a una famiglia di capisquadra che lavoravano nel "Set-Ma'at", il luogo della verità, cioè la Valle dei Re. I titoli conferiti a Inherkhau lo confermano: "Caposquadra nel luogo della verità a ovest di Tebe" e "Direttore delle opere del Signore delle due terre". La tomba è di dimensioni ridotte, ma presenta delle pitture molto ben conservate, probabilmente realizzate dai talentuosi pittori Hormin e Nebnefer. Sulle pareti si vedono il caposquadra in compagnia della moglie Wabet e dei figli. I dettagli sono magnifici, con il colore giallo predominante.

Altra tomba dai colori vivaci è la vicina TT1, la tomba di Sennedjem, un funzionario vissuto durante la XIX dinastia. Fu lui stesso a decorare la propria tomba durante i due giorni di riposo garantiti agli addetti alla realizzazione delle tombe reali. Il risultato è assolutamente perfetto e permette di capire come fosse vista la vita nell’aldilà. Sennedjem si raffigura insieme alla fedele moglie Iy-neferti, come un contadino intento a mietere grano tra floridi campi, rigogliosi alberi da frutto e numerosi corsi d’acqua. Se durante la vita il funzionario aveva dovuto combattere contro l’inospitalità dell’arido deserto roccioso, nell’aldilà avrebbe potuto finalmente godere di un ambiente fresco e lussureggiante.

L’ultima tomba visitabile è la TT3, la tomba di Pashedu, un architetto vissuto all’epoca dei grandi Seti I e Ramses II. Le raffigurazioni che catturano l’attenzione sono quelle dei due sciacalli di Anubi presenti su entrambe i lati dell’entrata, Osiride rappresentato come un falco ed il grande occhio di Ra vicino a Osiride e Ptah con il piccolo Sennedjem inginocchiato dietro di loro. Queste sono le uniche tre tombe visitabili nel sito di Deir el-Medina, su un totale di 53 tombe decorate risalenti alla XIX e XX dinastia. Sono presenti inoltre altre 6 tombe dipinte e 400 non decorate della XVIII dinastia. Il rinvenimento della necropoli di Deir el-Medina è stato possibile grazie ad una missione italiana diretta da Ernesto Schiapparelli nel 1906 e molti dei reperti da lui trovati sono oggi conservati al Museo Egizio di Torino. La grande epoca degli scavi avvenne in seguito alla Prima Guerra Mondiale, nel 1927, a opera di Bernard Bruyere, che ha investito più di vent’anni nella catalogazione dei reperti e nell’eliminazione dello strato di sabbia che copriva il sito di Deir el-Medina.

Questo villaggio, nonostante sia ritenuto da molti secondario rispetto alla Valle dei Re, offre un’importante visione sulla vita di coloro che hanno reso possibile la costruzione delle magnifiche tombe reali. Uomini che dovevano quotidianamente confrontare il loro genio con le numerose difficoltà del clima e del duro lavoro. Uomini che avevano il fondamentale compito di tracciare la via dell’immortalità del faraone. Uomini semplici, ma degni di essere ricordati. Senza di loro non esisterebbe la Valle dei Re e l’Egitto non avrebbe questi gioielli su cui ancora oggi si adagia per trarne profitto. Ecco perché innervosisce vedere come la gente del luogo prediliga solo le tombe dei faraoni e delle regine. Non sarà un luogo da turista di massa, ma la sua bellezza sta anche in questo. Se vi capita di trovarvi a West Luxor, respirate a fondo, fate affidamento al vostro lato e zen e chiedete di andare a Deir el-Medina. Vi assicuro che ogni sforzo verrà ripagato.
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