ISOLA DI CERIGOTTO - GRECIA
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Museo Archeologico Nazionale, Atene. Situato a pochi metri dal parco Pedion Areos, il museo è considerato uno tra le dieci destinazioni museali più prestigiose del mondo per il numero, la varietà e l’importanza delle opere conservate. Il museo ospita al suo interno i reperti rinvenuti nei siti archeologici ellenici, tra cui la celebre maschera funebre di Agamennone, il Fantino di Capo Artemisio, le pitture murarie di Thera, la coppa di Nestore e il ragazzo di Maratona. Data la grande quantità e la sorprendente bellezza delle collezioni, può accadere che alcuni oggetti, apparentemente meno pregevoli, passino inosservati. Tra questi si trova un particolare marchingegno arrugginito, conservato all’interno di una delle tante teche del museo. In realtà questo reperto meno appariscente, è uno dei più sorprendenti e misteriosi esempi di tecnologia della storia dell’umanità. Si tratta del Meccanismo di Antikythera, un enigmatico congegno risalente a oltre duemila anni fa, considerato il primo computer della storia.

La storia del suo ritrovamento iniziò 120 anni fa nel tratto di Mar Egeo che divide il Peloponneso dall’isola di Creta. Era il 17 maggio del 1902, quando il capitano Dimitrios Kondos e i suoi cercatori di spugne si ripararono da una tempesta nella piccola isola greca di Antikythera. Quando il tempo migliorò, il capitano decise di approfittare della sosta imprevista per fare immersioni nelle acque limpide attorno all’isola. Quando uno dei cercatori di spugne raggiunse il fondale, si trovò di fronte a quelli che sembravano cadaveri. Terrorizzato, risalì in superfice e riferì al capitano quanto aveva visto. I compagni pensarono che fosse impazzito per la decompressione, ma dopo essere ridiscesi in profondità, capirono che non si trattava di follia, bensì dei resti di un antico naufragio. Proprio come la barca dei cercatori di spugne, anche l’altra imbarcazione fu vittima di una tempesta, oltre duemila anni prima.

A circa 43 metri di profondità giacevano indisturbati e dimenticati, i resti di una nave del secondo quarto del I secolo a.C., adibita al trasporto di oggetti di prestigio, tra cui statue in bronzo e marmo, destinata ad un ricco signore romano. Fu il ritrovamento del decennio e subito l’archeologo Valerios Stais iniziò la sua campagna di recupero e studio degli oggetti del relitto. Insieme ad alcune statue di bronzo, vennero portati in superficie altri tesori tra cui vasi greci decorati e gioielli. Uno dei bronzi meglio conservati è Efebo di Antikythera che, insieme alla testa di filosofo di Anitikythera, si trova oggi esposto al Museo Archeologico di Atene. Le due statue furono gli oggetti più famosi trovati nel relitto, due visi che nessuno al mondo aveva visto per più di duemila anni. Ma l’opera più geniale non era ancora stata scoperta.

Tra i numerosi blocchi di pietra depositati sul fondale marino, Stais ne notò uno che presentava un ingranaggio inglobato all'interno. Con un più approfondito esame, si scoprì che quella che era sembrata inizialmente una semplice pietra, era in realtà un meccanismo fortemente incrostato e corroso, di cui erano sopravvissute tre parti principali e 82 frammenti minori. La macchina era delle dimensioni di circa 30 cm per 15 cm, dello spessore di un libro, costruita in rame e originariamente montata in una cornice in legno. Era ricoperta da oltre 3.500 caratteri di scrittura, dei quali circa il 95% è stato decifrato solo nei primi anni del 2000. Il meccanismo era così complesso che si ipotizzò che fosse stato costruito in tempi recenti e che fosse casualmente finito sui fondali vicino a Creta, in prossimità della nave romana. Tutte le analisi, però, confermarono che l'oggetto era stato costruito attorno al I sec. a.C.. Del resto in quel periodo la civiltà ellenistica stava vivendo quella che molti considerano un’età dell’oro: i greci avevano inventato la democrazia, sviluppato la scienza e introdotto la filosofia nel mondo allora conosciuto. L'alto livello di conoscenza della matematica, della geometria, della meccanica e dell’astronomia era dovuto agli studi del massimo esperto dell'epoca di scienze, ovvero, Archimede.

Questo genio nato nella bella Siracusa ai tempi in cui era provincia della Magna Grecia, è conosciuto e ricordato da tutti per le sue invenzioni dal carattere complesso e moderno. Alcuni tra i sistemi di grafemi incisi sul misterioso congegno, erano quelli utilizzati nelle colonie corinzie e, in particolare, proprio a Siracusa. Questa ipotesi troverebbe conferma in alcuni scritti di Cicerone: l’autore latino descrisse alcuni strumenti realizzati dal matematico Archimede nel III secolo a.C., cioè due secoli prima rispetto alla costruzione del Meccanismo di Antikythera. Ciò significa che l’antico congegno ritrovato a largo dell’isola di Antikythera sarebbe frutto di una tradizione costruttiva legata direttamente agli studi del celebre matematico. Archimede era affascinato dalla meccanica del tempo, come il sorgere e il calare del sole, le fasi lunari, il ciclo stagionale e il moto dei pianeti. Per questa ragione e per la sua irrefrenabile sete di conoscenza, Archimede visitò molte volte Alessandria d’Egitto, il maggior centro intellettuale del mondo antico. Fondata da Alessandro Magno, Alessandria era il punto d’incontro delle antiche civiltà del Mediterraneo e una città multietnica popolata da egiziani, greci, romani e persiani. Tutto il sapere classico era conservato nell’enorme Biblioteca di Alessandria, che fu data alle fiamme molte volte nel corso dei secoli, fino alla distruzione totale sia dell’edificio, sia della maggior parte dei libri in esso contenuti. Tra gli scaffali di questa cattedrale del sapere antico, Archimede venne ispirato dal lavoro di un genio della meccanica di nome Ctesibio. Questo fisico e matematico di umili origini, ebbe un’idea semplice, ma che rivoluzionò la tecnologia dell’epoca: la misurazione del tempo. Nelle civiltà greca la necessità di misurare il tempo era diventata importantissima perché la società aveva bisogno di ordine e programmazione. In alcuni casi si potevano usare le meridiane, ancora visibili negli importanti edifici municipali superstiti come l’horologion, l’antico orologio dell’acropoli di Atene, conosciuto anche con il nome di Torre dei Venti. Tuttavia, la meridiana aveva il grosso limite che quando il sole era coperto dalle nuvole o calava la notte, non era possibile stabilire l’ora. La prima soluzione greca per questo antico problema fu l’orologio ad acqua, detto clessidra. Il termine ‘’clessidra’’, che comunemente associamo alla sabbia, significa in realtà ‘’rubare acqua’’ (dal greco kλέπτο e ὕδωρ). I greci non furono gli inventori dell’orologio ad acqua. Come spesso accadde, essi avevano copiato e perfezionato le invenzioni di un’altra civiltà antica che ancora oggi stupisce per aver incredibilmente precorso i tempi: la civiltà egizia. Per migliaia di anni gli egizi avevano usato orologi ad acqua per segnare le ore del giorno. Il famoso orologio del tempio di Karnak a Luxor ne è un esempio.

Gli orologi ad acqua egizi funzionavano in un modo molto semplice: un catino finemente decorato veniva riempito di acqua fino al bordo e via via che si svuotava attraverso una cannella in basso, il livello raggiunto indicava l’ora. I segni all’interno mostravano il passare delle ore, ma queste variavano, dato che il numero di ore dal tramonto all’alba cambia di mese in mese. Il congegno permetteva agli antichi egizi di misurare il passare del tempo durante il giorno e la notte, ma non era ancora un vero e proprio orologio. I greci ‘’rubarono’’ l’idea e, in un primo momento, utilizzarono le clessidre ad acqua per assegnare la stessa quantità di tempo agli oratori in un’assemblea politica o agli avvocati in tribunale. Tuttavia questi limiti andavano corretti e risolti per poter utilizzare le clessidre come veri orologi. Fu in questo contesto che arrivò tempestiva ed illuminante la soluzione di Ctesibio. Egli notò che l’acqua fluiva più rapidamente all’inizio che alla fine, poiché quando il vaso è pieno, l’acqua zampilla dal fondo, mentre quando il livello si abbassa, la pressione si riduce e l’acqua sgocciola. Per compensare, Ctesibio capì che se il vaso fosse stato sempre pieno, la pressione dell’acqua in uscita sarebbe stata costante. Iniziò a lavorare sul flusso d’acqua non in uscita, ma in entrata, tenendo sempre pieno il serbatoio. Per risolvere il problema del riempimento e per garantire una velocità costante, aggiunse un altro contenitore d’acqua sopra quello principale. Il contenitore versava acqua più in fretta di quanta potesse uscirne, così il serbatoio principale era sempre pieno e l’acqua in eccesso poteva semplicemente defluire in uno sfioratore. Per misurare il flusso dell’acqua, cioè del tempo, decise di usare un altro recipiente sotto il flusso costante in uscita e vi mise un galleggiante con una lancetta sopra e una scala graduata accanto. Quando il livello di acqua si alzava, l’indicatore saliva a velocità costante. Ctesibio inventò in questo modo il primo orologio meccanico del mondo che in seguito abbellì e perfezionò, finendo per inventare anche l’orologio a cucù. La sempre più complicata serie di ingranaggi, permise anche la rotazione molto lenta della scala graduata per indicare il giorno del mese. L’orologio diventò quindi anche un calendario. Archimede fu affascinato dalle invenzioni di Ctesibio e forse proprio da esse trasse ispirazione per la costruzione del Meccanismo di Antikythera.
Solo nel 1951, quasi mezzo secolo dopo il ritrovamento, i dubbi sul misterioso strumento cominciarono ad essere svelati. Quell'anno infatti, il professor inglese Derek de Solla Price cominciò a studiare il congegno, esaminando minuziosamente ogni pezzo e riuscendo, dopo circa vent'anni di ricerca, a scoprirne il funzionamento originario. Grazie ai raggi X, poté vedere che la sua composizione era a dir poco contorta e ricca di numerosi e minuscoli ingranaggi (addirittura un settore di soli 7 millimetri ne contiene ben 5). Il meticoloso studio delle ruote dentate, dei rapporti tra gli ingranaggi e delle iscrizioni greche della scatola che conteneva il meccanismo, fornirono a De Solla Price gli indizi sul possibile uso del meccanismo. Grazie a questi dati, sviluppò una teoria e preparò un modello che funzionava come secondo lui aveva funzionato il congegno di Antikythera. Il professore capì che era un macchinario estremamente complesso che calcolava i movimenti del sole e della luna. Sembrava anche che il congegno fosse in grado di indicare i giorni del mese sotto forma di fasi lunari. Queste informazioni erano, secondo le ricerche del professore, mostrate sui tre quadranti principali del meccanismo: quello anteriore indicava la data e le posizioni del sole della luna, mentre i due posteriori indicavano il mese e un ciclo di quattro anni. Nel suo articolo ‘’Gli ingranaggi greci’’ pubblicato nel 1974, Price condivise con il mondo le sue scoperte sul Meccanismo di Antikythera, che definì ‘’un computer-calendario’’. All’inizio del nuovo millennio, grazie all’evoluzione della tecnologia e a nuovi studi scientifici ed archeologici, sono emerse nuove verità sul funzionamento e sulla funzione del complesso congegno. Nel primo decennio del 2000, un team di scienziati diretti dal professor Alexander Jones, un esperto di fama mondiale nella storia dell'astronomia antica, e dall’astrofisico britannico Mike Edmunds, ha riutilizzato i raggi X e immagini ad alta qualità per analizzare gli 82 frammenti superstiti. Fecero quello che non era stato fatto in precedenza, cioè tentare di leggere ed interpretare tutti i 3.500 caratteri presenti sul congegno. Il professor Edmunds dichiarò: «L’indagine originale doveva capire il funzionamento del meccanismo, ed è stato un successo. Quello che non avevamo compreso era che le tecniche moderne che stavamo usando ci avrebbero permesso di leggere i testi, sull’interno e sull’esterno del meccanismo, molto meglio rispetto al passato».
Il processo di lettura e decodifica fu lungo e minuzioso: i ricercatori dovettero guardare dozzine di scansioni per leggere ognuna delle minuscole lettere (alcune alte solo 1,2 millimetri). Il risultato però fu superiore all’entità dello sforzo. Jones dichiarò che più che un calcolatore, il Meccanismo di Antikythera fosse una guida filosofica del cielo. Questa antica, ma modernissima macchina, era in grado di calcolare le eclissi, le fasi lunari, il Ciclo Metodico di 235 mesi sinodici (che corrispondono a circa 19 anni solari), l’anno lunare di 12 mesi sinodici (ovvero il tempo che la Luna impiega ad allinearsi nuovamente insieme al Sole e alla Terra dopo aver compiuto una rivoluzione intorno alla Terra), il moto dei cinque pianeti all’epoca conosciuti e addirittura di indicare con esattezza le date delle Olimpiadi e dei giochi panellenici associate. Tuttavia Jones affermò: «Non era uno strumento di ricerca, qualcosa che un astronomo userebbe per fare dei calcoli, né un astrologo lo userebbe per fare previsioni. Era qualcosa che useremmo per insegnare il cosmo e il nostro posto nel cosmo. È come un manuale di astronomia per come lo intendevano all’epoca, che collegava i movimenti del cielo e dei pianeti con le vite degli antichi Greci e il loro ambiente. Lo vedrei più come un dispositivo istruttivo per i filosofi». Il legame tra astronomia, filosofia e politica nell’antica Grecia era molto forte e questo congegno è un ulteriore esempio di tale correlazione. Un ulteriore passo in avanti nella comprensione della macchina lo si potrebbe fare se si trovassero altre parti sul fondo del mare, ma le numerose ricerche condotte fanno pensare che sia ormai stato trovato tutto ciò che resta di questo incredibile calcolatore del passato.

Nel 2014, a circa 50 metri di profondità, furono ritrovati uno scheletro umano, parte di una scatola cranica, una mascella, un femore e parti di braccia. Attualmente si sta tentando di estrarre DNA non del tutto compromesso da questi reperti ossei. Se il test avrà esito positivo, si potrebbe risalire all'origine degli uomini che viaggiavano sulla nave. Sempre alla stessa profondità, gli archeologi e i sub coordinati da Brendan Foley dell'Università di Lund e Theotokis Theodoulou dell'Eforato Greco per le Antichità Subacquee di Atene, hanno rinvenuto diversi pezzi di statua, tra cui un prezioso braccio di bronzo, il coperchio di un sarcofago di marmo rosso, altri resti umani, parti in legno della nave, frammenti di un flauto osseo, una pedina di un'antica scacchiera, raffinate ceramiche, un bracciolo forse appartenuto a un trono bronzeo e un misterioso disco di bronzo decorato con l'immagine di un toro. Il ritrovamento di questo disco, che misura circa 8 cm di diametro, ha generato la speranza, poi svanita, che fosse una parte mancante del Meccanismo di Antikythera. Nel marzo del 2018, gli archeologi si sono nuovamente immersi nelle limpide acque dell’isoletta greca, questa volta per scavare direttamente sotto i detriti. Un sottomarino a comando remoto (ROV) ha seguito e filmato tutte le 61 immersioni e ha tenuto i contatti con l'equipaggio di superficie. Scansioni 3D dei reperti sono state eseguite sia prima della rimozione dalla nave, sia sui manufatti riportati in superficie. Gli archeologi stanno ora conducendo analisi specifiche sui reperti: lo studio del DNA ritrovato in antiche anfore di ceramica, per esempio, ha rivelato la presenza di cibi, bevande, medicine e profumi di duemila anni fa. L'analisi isotopica degli oggetti in piombo ritrovati nel sito, come parti della prua e del rivestimento dello scafo, dovrebbe invece chiarire da dove fu estratto il metallo e suggerire il porto di provenienza della nave. Il misterioso relitto di Antikythera, continua e continuerà a far sognare e sperare gli archeologi di tutto il mondo.
Fonti: Le Meraviglie del Sapere - ilfattostorico - spaziotempo - sapere.it - nauticareport - vanillamagazine - Focus - docplayer/Università degli Studi di Padova
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