BOUARFA - MAROCCO
in ricordo di Abdelaziz
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Bouarfa, estremo confine orientale del Marocco. C’è fermento tra la gente. Oggi non è un giorno come gli altri. La solita calma si è rotta. Tutti corrono qua e là e si riversano nelle strade come un formicaio scomposto. ‘’Presto andiamo! Sono arrivati’’. Non c’è tempo di capire chi, bisogna correre. L’ora del tramonto è vicina.

Il cielo carico di sabbia si tinge di rosso. Il profumo di msemmen e agnello alla griglia solletica il naso. Tutto è avvolto da una nuova magia. Le capre sui tetti si sporgono in avanti per capire cosa stia succedendo. Ma non c’è tempo per capire. Loro sono arrivati. Bisogna correre. Bambini in festa, donne con sgabelli sottobraccio e giovani euforici, si uniscono al passo svelto dei capifamiglia.

I binari abbandonati della vecchia ferrovia algerina, corrono paralleli al nostro fluire. I negozianti chiudono bottega. I poveri polli del negozio di carne tirano un sospiro di sollievo. Gli asini parcheggiati nelle piazze ne approfittano per accoppiarsi indisturbati.

Tutti abbandonano le loro faccende e, come stregati da un invisibile flauto magico, si mettono in marcia. Persino il tabaccaio Abdelaziz, noto per la sua lentezza, sembra aver capito che oggi bisogna affrettarsi. Gli unici che restano impassibili davanti a questa improvvisa diaspora sono i soliti drogati di calcio che restano incollati come mosche alle sedie delle sale da tè a guardare le prodezze di Messi.

Il respiro si fa affannato, ma io corro. Anche se non so dove. ‘’Non fermarti, dobbiamo arrivare per primi’’. Nei sandali il sudore si mischia alla sabbia. Brucia, ma bisogna correre. Con un sorriso guardo i giochi di luce delle paillettes oro del mio gandora riflessi sui muri. All’improvviso il vento mi dà un po’ di sollievo e plasma con invisibili mani una musica lontana.

Ad intermittenza si sente un rumore di tamburi provenire dall’ultima moschea che segna la fine del paese. Finalmente scopro la mia meta. Le gambe si fanno dure, ma la curiosità addolcisce lo spirito. Per la prima volta dopo quasi sei mesi, scopro una parte nuova del paese dove di solito non si viene perché manca la luce elettrica. I fili stendibiancheria e le ciabatte all’entrata mi fanno capire che questi palazzi bui e non terminati, sono abitati. Una lacrima sale dal cuore all’occhio. Ormai questa gente è la mia gente.

Ma lo strato di sudore depositato sul cuoio ed un sasso che entra nei sandali mi richiamano al presente. I miei piedi domani vorranno una spiegazione per il maltrattamento che stanno subendo. Ed ecco. Subito arriva la ragione. Mi guardo la mano libera e vedo che il sudore ha iniziato a sciogliere l’henné. Poi sento che l’altra mano si libera dalla dolce stretta. ‘’Siamo arrivati. Respira. Ora puoi camminare.’’ Dove ieri c’era solo sabbia e qualche osso animale, oggi ci sono grandi tende beduine. Con stupore noto che ci sono moltissimi cavalli.

Qui nessuno può permettersi un cavallo, animale nobile e costoso che sicuramente non sarebbe disposto a dormire all’aperto e a lavorare tutto il giorno come i mansueti asini. Le tende sono molto più belle rispetto alle comuni tende da matrimonio che popolano le notti tra danze e speranze. Con gli occhi pongo domande. ‘’È Fantasia’’. Fantasia? E cos’è Fantasia? La mia mano ritorna ad essere guidata dalla dolce e sicura stretta. Il mio sguardo e i miei interrogativi vengono accompagnati lungo delle transenne che delimitano l’area adiacente all’ultima moschea del paese. Dietro di noi iniziano a intravedersi le sagome delle persone che avevano fatto da sfondo alla nostra corsa. Davanti a noi, un gruppo di ragazzi ballano una danza rituale, tenendo tra le mani bastoni e tamburi. I loro corpi oscillano e le mani sinuose percuotono con perizia le pelli degli strumenti musicali.

I bambini sono già arrivati e iniziano a salutarmi con il solito francese. ‘’Salam aleikum. Labas? Labas’’. Come mi sento buffa. Mi piace vedere le loro espressioni stupite quando li saluto nella loro lingua. Uno sparo. Il respiro si ferma in gola. Poi guardo i bambini e vedo che sorridono. La mano che tiene la mia non mostra movimenti. Ok, è tutto tranquillo. Ma cosa succede? Qui non esistono armi, non ci sono cavalli e nessuno ha tende così belle. Poi penso che ‘’è Fantasia’’. Decido di fidarmi. Come sempre.

Mi abbandono sulla transenna, aspettando il solito prezioso e impagabile momento in cui la mia fiducia ripagata viene a strizzarmi l’occhiolino. Mi isolo. Lascio che il mio gandora madido di sudore si faccia asciugare dal vento. Permetto all’amica sabbia di scompigliarmi i capelli. Con l’entusiasmo di un bambino, catturo col cuore ogni singolo dettaglio. ‘’Grazie per avermi portato con te’’. ‘’Bsaha’’. E così inizia Fantasia.

Uomini vestiti con candidi abiti bianchi rubano l’attenzione. Si avvicinano ai cavalli e li ornano con cura con colorate imbracature e selle di pelle conciata e decorata. Tra le bianche vesti si intravedono le sagome di lunghi fucili. Non mi va di chiedere spiegazioni. Voglio guardare e giocare con la mia fantasia. La musica e le danze si arrestano. Ormai tutti sono arrivati e tentano di raggiungere le transenne. I più piccoli vengono lasciati passare, mentre gli anziani vengono sorretti dai giovani e fatti sedere sui loro sgabelli portati da casa. La diaspora è finita. Tutto ora è fermo. Persino il vento e la sabbia trattengono il fiato. Seguo la direzione degli sguardi e vedo che gli uomini bianchi sono schierati in sella ai loro destrieri. Sembrano dei principi usciti dai racconti de Le Mille e Una Notte e io mi sento come Shahryar prima che Shahrazād inizi un nuovo racconto nel racconto.

La mia mano torna di nuovo libera. Si inizia. Un silenzio solenne si impossessa del paese e lascia far rumore solo alle mosche. Uno sparo. I cavalieri gridano e si lanciano in una corsa feroce. Le loro mani non tengono le briglie. Come in un coro perfetto, tutti i loro fucili sparano all’unisono verso lo stesso invisibile punto nel cielo. La sabbia mossa dagli zoccoli forma nubi multiformi simili a panciuti jinn.

Finita la prima corsa, i cavalieri retrocedono al punto di partenza e compiono nuovamente il rito. Mi volto e guardo i bambini. I loro sguardi sono rapiti. Alcuni hanno la bocca aperta. Altri battono le manine. Gli anziani orgogliosi indicano loro con il dito stanco i cavalieri bianchi. Tutti sono contenti. Tutto è in pace. E io sono grata di prendere parte a questo momento magico che il tempo non potrà cancellare.
Oggi, cinque anni dopo, una lacrima bagna queste parole e un sorriso la asciuga. Come una fotografia custodita come il più prezioso dei gioielli, questo momento vive ancora nella mia memoria. Non sapevo cosa fosse Fantasia, ma ho avuto il grande onore di sedere tra queste povere, ma ricche persone e toccare l’anima intangibile di una tradizione a loro tanto cara. La Fantasia, nota anche con il nome di Tbourida e Gioco della Polvere, designa una manifestazione equestre che ebbe origini dai berberi del Maghreb per mostrare la forte relazione tra l'uomo e il cavallo. La Fantasia si svolge in gruppo e ha come soggetto basilare i cavalli berberi che, guidati da cavalieri, si esibiscono in un esercizio di carica militare e di tiro a distanza per ricordare i tempi in cui gli invasori stranieri si infiltrarono nel territorio marocchino. In passato per il tiro venivano utilizzate lance o balestre, mentre nei nostri tempi si usano i fucili. La Fantasia è organizzata spontaneamente dagli abitanti e i cavalieri delle tribù devono dapprima rendersi onorabili per potervi partecipare. L’importanza culturale e storica di questo festival, che nel corso degli anni è cresciuto sia per numero di partecipanti, sia per il fatto che ogni città del regno ha creato un proprio ‘’esercito’’ di cavalieri, è stata riconosciuta dal Governo Marocchino ed è stata insignita dal Comitato intergovernativo dell'UNESCO del titolo di Patrimonio Culturale Immateriale Universale. Altre volte ho visto la Fantasia in altre città del Marocco, come Azrou. Altre volte forse la rivedrò. Ma quel giorno di fine luglio a Bouarfa in cui arrivarono i cavalieri bianchi non ritornerà.

Anche se oggi ne conosco il significato e le modalità, non dimenticherò la prima volta che ho sentito il suo nome. ‘’È Fantasia’’. Non dimenticherò la corsa. Non dimenticherò lo sguardo delle persone davanti a questa magia. Una magia che non sta nei cavalieri e nei cavalli, ma negli occhi di chi la guarda. Così complicata da descrivere, così semplice da sentire. Ma forse non era magia, era semplice felicità. Tanto dolce quando la si prova, tanto amara quando la si ricorda.
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