BEIRUT - LIBANO
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Un omaggio ad Amine El Bacha, l’artista libanese che con la sua arte ha contribuito all'emancipazione della forma per arrivare ad un linguaggio gestuale che unisce la semiotica della realtà e dell'astrazione. L'universalità della bellezza che trascende i confini umani, così come i generi artistici, ha un unico scopo per El Bacha: dare gioia.
“Vivo l'era in cui viviamo proprio come qualsiasi altro artista in qualsiasi parte del mondo.
Sono influenzato dalla bellezza qualunque sia o dovunque sia."
Amine El Bacha
Amine El Bacha è nato a Beirut nel quartiere di Ras al-Nabaa nel 1932, da una famiglia amante dell’arte e della musica. Già dall’adolescenza iniziò a mostrare interesse per tutte le forme di arte, soprattutto per la pittura e la musica. Accantonata l’ambizione di diventare un musicista, El Bacha si iscrisse all'Académie Libanaise des Beaux-Arts (ALBA), dove fu influenzato dall'opera di Cesar Gemayel e Jean-Paul Khoury, nonché da quella di Fernando Manetti. Per il suo talento, ricevette nel 1959 una borsa di studio per proseguire la sua formazione a Parigi, prima alla National School of Fine Arts, poi all'accademia Grand Chaumiere, con Henri Goetz. Durante la prima fase del soggiorno a Parigi, a causa dei costi elevati degli affitti, fu costretto a vivere in una piccola stanza. Lo spazio era talmente ridotto che fu costretto ad esercitarsi usando oggetti riciclati. Le limitazioni economiche furono però trasformate da El Bacha in un’opportunità: comprava scatole di legno di formaggio, ne mangiava il contenuto e poi le usava per creare oggetti, colorarli e trasformarli in qualcosa di simile a piccole sculture. Questi esperimenti lo portarono ad avere una grande manualità e dimestichezza con il legno, cosicché iniziò a creare figure simili a marionette tratte dal folklore orientale. Nello stesso periodo (1960-1968) El Bacha cristallizzò un approccio alla sperimentazione nell'astrazione.
“Una delle prime cose che ho fatto quando sono andato in Francia ... è stato andare al Louvre. Lì ho visto manufatti e opere d'arte dal Libano e da altri paesi del Medio Oriente che hanno dimostrato chiaramente quanto la nostra cultura abbia contribuito all’Occidente”.

Sperimentò la ricostruzione della natura attraverso la semiotica della colorazione, basandosi sulla presunzione che il colore si sviluppi sia con la visione, che con la sensibilità musicale, influenzata dalla luce, dalla temperatura e dal clima. Scoprì che il modernismo costituisce un ritorno alle basi dell'infanzia che nasce da un impulso primitivo. Per El Bacha, l'arte astratta, consacrata dagli studi nelle accademie, è emersa dal cubismo e dalle particolarità dell'arte dall'Oriente, un'arte che si basa sulla semplificazione e sull'attenzione per creare l'essenza delle cose. Indipendentemente dal mezzo o dal soggetto, El Bacha si arrese alla vivacità del colore con un'ingenuità infantile, mescolata con l'occhio maturo dell'esperienza. Dipinse persone in caffè, strade, teatri e piazze, in particolare il quartiere degli artisti di Montparnasse. Molti artisti hanno preso come riferimento El Bacha durante questo periodo: i dipinti e gli scritti di Paul Klee, gli esperimenti di Pablo Picasso e le arti orientali che fondevano il figurativo e l'astratto. I dipinti realizzati nel periodo parigino riscossero molto successo alla Biennale di Alessandria (1962), alla Galleria Manoug (Beirut, 1967), al Salon des Surindépendants e al Salon des Réalités Nouvelles nel Museo Nazionale di Arte Moderna, entrambe a Parigi.

Alla fine del 1968, El Bacha cambiò il suo stile, passando dall'astrazione all'espressionismo. Fu forse la nostalgia di casa ad evocare in lui ricordi della sua infanzia che lo spinsero ad attingere a temi libanesi. Negli anni successivi alla parentesi parigina, El Bacha iniziò a viaggiare in Europa, principalmente in Spagna, Italia ed Olanda. La visita di Toledo e dell’Alhambra di Granada fu una grande fonte di ispirazione per l’artista, stupito dalla forte influenza della cultura araba in Andalusia. Con l'inizio della guerra civile libanese, El Bacha si recò in Italia su invito della Fondazione Educavi Maesta, con cui firmò un contratto di cinque anni con il direttore internazionale della fondazione, Giorgio Cena, che aveva collaborato con famosi artisti internazionali, tra cui Corneille Guillaume Beverloo (Paesi Bassi) e César Baldaccini (Francia). Nel 1979, El Bacha vinse un concorso internazionale per progettare il mosaico della chiesa di San Martino nella piazza di Legnano (Milano). L'opera musiva è composta da sei parti che narrano la storia di San Martino, santo venerato dalla chiesa cattolica, copta ed ortodossa. L'assemblaggio di questo mosaico guidò El Bacha verso l'estetica delle arti bizantine e islamiche, ampiamente utilizzata in molte città italiane e spagnole. Elementi pittorici e ornamentali costituivano il nucleo di questo lavoro, che ruotava attorno alla natura e alle sue forme paradisiache, rivelando una spiritualità orientale. Mentre viveva in Italia, El Bacha ottenne numerosi premi, in particolare il Premio Amore e il Premio Città Eterna. Per la sua crescente importanza nelle mostre internazionali, l'editore di preziosi libri d'arte Cegna Editori lo selezionò, insieme ad altri artisti internazionali, per illustrare un volume del poeta senegalese Léopold Sédar Senghor.

Il successo riscosso da El Bacha in Italia, invece di spingerlo a lasciare la tormentata Beirut, rafforzò ulteriormente il legame con i sogni e i colori della sua città. Dall’Italia partì con una fede ancora più solida nel valore estetico dell'arte, un valore che trascende la tragedia e la disperazione. Amine El Bacha non fu mai l’artista tormentato o il genio afflitto. Spesso si volgeva verso la pace e la gioia, gli piaceva tracciare nei suoi dipinti la poesia ludica dei piccoli dettagli della vita quotidiana. Eccelleva anche nel ritrarre, soprattutto nei suoi acquerelli, il fascino di una regione mediterranea senza confini. Incurabilmente ottimista, anche al culmine della guerra, Amine El Bacha non smise mai di dipingere fiori, cuori, palme, frutti, nuvole bianche su orizzonti blu illuminati da mille soli e attraversati da uccelli liberi di volare e sognare.

Per decenni, El Bacha ha studiato la poetica nei movimenti, nella luce e nell'ombra del mondo naturale. El Bacha trasmette le sue storie da questi tipi di movimento attraverso una sorta di architettura patchwork, essendo come una scienza che collega lo spazio e la dimensionalità. A tal proposito, El Bacha ha contribuito all'emancipazione della forma, per arrivare a un linguaggio gestuale che unisce la semiotica della realtà e dell'astrazione. In un’intervista rilasciata per il supplemento culturale Al-Mulhaq del quotidiano Annahar El Bacha dichiarò: ‘’Sono in una lotta costante e cronica con la natura. Sto cercando di lasciar andare la pittura diretta della natura e sto cercando di continuare a dipingere le ossessioni e le associazioni inconsce di autoespressione. Anche se il mio lavoro è tutto basato sull'impulso, mi preparo mentalmente come se stessi dipingendo oggetti reali, alla fine. Forse questa è la mia tecnica di improvvisazione.’’

I dipinti di Amine El Bacha riflettono una profonda esperienza artistica che nasce dai suoi viaggi e vagabondaggi attraverso diversi paesi, il suo tempo trascorso nei caffè, guardando il mondo che passa. I regni evocati nel suo lavoro sono studi sulla vita quotidiana e sul mondo naturale. Attraverso un trattamento familiare di atmosfere e forme orientali, riesce a rivelare l'inaspettato che si nasconde nel loro cuore. Lo spazio della sua creazione si trasforma così in una dimensione teatrale, realistica e talvolta fantastica. Pittura, musica, letteratura e donne sono i quattro temi che guidano la sua vita e la sua arte, alcuni nutrendosi dell'assenza o della presenza di altri. L'universalità della bellezza che trascende i confini umani, così come i generi artistici, ha un unico scopo per Amine El Bacha: "dare gioia".

La carriera di El Bacha come artista visivo è stata caratterizzata da irrequietezza formale. Ha lavorato in ceramica, arazzi, gioielli e ha collaborato con il fotografo Ghassan Kitmitto su opere che uniscono la pittura improvvisata a stampe fotografiche. Amine El Bacha è stato anche uno scrittore di racconti, fiction, spettacoli teatrali e saggi critici, oltre che illustratore per pubblicazioni di varia natura. La sua prolifica ed eclettica arte oggi onora musei di arte moderna in Spagna, Italia, Francia, diversi paesi arabi e numerose collezioni private. Nel febbraio del 2018 ho avuto la fortuna di visitare la mostra Partitions et Couleurs: Hommage à Amine El Bacha, la prima iniziativa in un ciclo di omaggi agli artisti rappresentati nelle collezioni del Museo Sursock di Beirut. L’area dedicata ad Amine El Bacha riuniva una serie di dipinti ad olio, acquerelli e oggetti in legno dipinto, creati tra gli anni '60 e il 2010. Un anno dopo, il 5 febbraio del 2019, trovò la morte nella sua amata città, lasciando un’eterna traccia di colore e gioia nella storia della pittura moderna libanese.
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