'ASSI EL HADATH - LIBANO
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Nel 1989 gli speleologi del GERSL (Groupe d'Etudes et de Recherches Souterraines du Liban) rinvennero otto corpi naturalmente mummificati nella grotta di 'Assi el Hadath, nella valle di Qadisha, nel nord del Libano. Il ritrovamento delle mummie fu una delle più sensazionali scoperte dell’archeologia libanese e contribuì a delineare gli equilibri sociali e religiosi della regione in epoca medievale. Dopo varie peripezie durante la guerra civile per trasportarle e conservarle in sicurezza nella capitale, oggi le mummie si trovano esposte nel Museo Nazionale di Beirut.

La Valle di Qadisha viene chiamata dai libanesi la ‘’Valle Santa’’ poiché in questa profonda gola creata dal fiume omonimo, si rifugiarono monaci cenobiti, maroniti e anacoreti per dedicarsi alla preghiera e fuggire dalle persecuzioni dei musulmani e dei membri di altre sette religiose cristiane. Nonostante potenzialmente questa valle fosse il luogo ideale per una ricerca archeologica, non fu mai sufficientemente studiata fino a quando, seguendo le tracce del patriarca maronita Istifan El Douaihy, avvenne una scoperta che ne fece riscoprire il valore storico. Nel 1989 un gruppo di speleologi del GERSL (Groupe d'Etudes et de Recherches Souterraines du Liban) che si trovava in esplorazione nella grotta di ‘Assi el Hadath, trovò un piccolo cadavere mummificato su un precipizio alto 700 metri ad un’altitudine di 1.300 metri sul livello del mare. Le autorità libanesi furono subito allertate e gli speleologi invitati a proseguire le loro ricerche. Nei due anni successivi furono rinvenute altre sette mummie, conservatesi naturalmente grazie alle favorevoli condizioni climatiche di cui ha sempre goduto la Valle di Qadisha.

Gli studi condotti sulla prima mummia rinvenuta dal GERSL, rivelarono che si trattava di una bambina di quattro mesi, completamente sepolta a soli 40 cm dal suolo. La piccola giaceva supina con la testa appoggiata su una pietra liscia, in una tomba singola. Sotto il sudario, indossava tre abiti di cui uno blu, uno beige e un altro dello stesso colore, ma più scuro, ricamato con fili di seta su entrambi i lati. La testa era coperta da un copricapo, sotto il quale indossava una fascia di seta. La bambina aveva delle ciocche di capelli neri tra le dita dei piedi, un'usanza locale che esiste tutt’oggi, secondo cui la madre, sconvolta dal lutto, si strappa i capelli mentre bacia i piedi del figlio morto. Era inoltre adornata con un orecchino e una collana decorata con perle di vetro soffiato e due pezzi di monete risalenti all'epoca di Malik al Ẓāhir Rukn al Dīn Baybars al ʿAlāʾī al Bunduqdārī, il quarto sultano mamelucco d'origine kipçak che governò l'Egitto e la Siria fra il 1260 e il 1277. Nelle vicinanze della sepoltura sono state trovate foglie di alloro, mandorle, noci, bucce di aglio e cipolla. Data la tenera età in cui era avvenuto il decesso, gli scopritori della piccola mummia, inteneriti, decisero di chiamarla Yasmine. Non potevano sapere che sarebbe stato solo il primo di altri preziosi ritrovamenti.

Le ricerche svoltesi nei due anni successivi, portarono alla scoperta di altri corpi sepolti all’interno della grotta di ‘Assi el Hadath: quattro bambine, tre donne adulte, il cranio di un uomo e un feto. Oltre ai resti umani, all’interno della grotta vennero rinvenuti abiti ricamati, ceramiche, monete, strumenti per la casa, armi e manoscritti in arabo e siriaco. Questi oggetti furono importanti per determinare la datazione esatta dei corpi, accertata al XIII secolo d.C. A quell’epoca (1102 - 1289 d.C.) la Valle di Qadisha faceva parte della Contea di Tripoli e la maggior parte dei suoi abitanti erano cristiani maroniti. Tripoli era una delle quattro unità cittadine fondamentali del Regno di Gerusalemme, che comprendeva anche la contea di Edessa (attuale Şanlıurfa - Turchia), il Principato di Antiochia e i territori reali. Durante quel periodo, i Mamelucchi occuparono l'Egitto, la Siria e la Palestina e partirono alla conquista del Libano per espellere i crociati. I Maroniti opposero resistenza, ma l’avanzata mamelucca era inarrestabile. Come testimoniano gli scritti dell’epoca, i cristiani maroniti furono costretti a ripiegare e a rifugiarsi nelle grotte della Valle di Qadisha. Delle note redatte da un cristiano anonimo, scoperte da Istifan El Douaihy a margine di due bibbie trovate nel Monastero di San Maroun Annaya (dove si trova la tomba del ‘’Padre Pio’’ del Libano Charbel Makhluf) descrivono una situazione catastrofica. I Mamelucchi, accortisi che gli abitanti di ‘Assi el Hadath si erano nascosti nella grotta, assediarono le uscite, inducendo i fuggitivi ad arrendersi e garantendo loro una liberazione sicura. Con questo tranello, i Mamelucchi conquistarono la Valle di Qadisha, bruciarono tutti i villaggi, uccisero gli uomini e imprigionarono le donne. Le mummie che sono state rinvenute nella grotta, sono gli unici abitanti rimasti dell’assedio mamelucco ai danni di ‘Assi el Hadath.
La comunità maronita si interessò alle mummie e tentò di facilitare lo spostamento dei reperti dalla grotta a Beirut, all’epoca ancora in preda alla guerra civile. Per scongiurare i sospetti dei miliziani e portare in salvo le mummie, venne dato l’ordine agli speleologi di muoversi singolarmente per non attirare l’attenzione. Ogni esploratore doveva quindi darsi il cambio ogni tre giorni sulla parete rocciosa e affrontare una difficile salita di oltre trenta metri con corde e chiodi fino alla grotta. I resti delle mummie e dei loro corredi vennero avvolti nel lino e trasportati a mano a valle, dove un monaco attendeva lo speleologo di turno per guidare fino a Beirut, con la speranza che il suo prezioso carico passasse inosservato attraverso tutti i posti di blocco militari lungo la strada. Una volta raggiunta Beirut, il monaco si recava nello scantinato di Fadi Baroudy, presidente del GERSL, dove le mummie e tutti gli oggetti rinvenuti nella grotta di ‘Assi el Hadath rimasero fino alla riapertura del Museo Nazionale del Libano avvenuta a guerra conclusa nel 1995.
Durante quegli anni di tensione in cui i reperti furono nascosti dalla devastazione cieca della guerra, le mummie furono sottoposte ad una prima analisi. Il microclima secco e il basso livello di umidità, uniti all'assenza di sostanze organiche nel suolo, avevano favorito una conservazione naturale dei corpi e di altri oggetti organici. Tuttavia, dai rapporti emerge che lo stato di conservazione delle mummie variava "con alcuni poco più che ossa e pezzi di pelle secca, mentre altri sono meglio conservati". Man mano che l'identificazione preliminare, la numerazione e la denominazione dei corpi procedevano, le mummie cominciavano ad assumere caratteristiche individuali. Se gli oggetti rinvenuti vicino ai corpi avevano fornito gli elementi per determinare la datazione delle mummie, i tessuti degli abiti ne indicarono una possibile provenienza. Gli esperti riportarono che le vesti erano molto simili per disegno e forme ai motivi dei kilim dei nomadi turchi. Per la realizzazione degli abiti era stato utilizzato un tipo di tessuto di cotone ruvido, noto come panno Baalbaki (originario di Baalbek), che per secoli fu ampiamente impiegato per la realizzazione di indumenti in tutto il bacino del Mediterraneo orientale. I tessuti, ancora incredibilmente robusti, furono riportati ai loro splendenti colori originali, ottenuti con pigmenti naturali estratti dalle piante.

Uno dei dettagli più interessanti collegati al tessuto, è stato il rinvenimento di cipolle avvolte in pezzi di cotone, inseriti negli orifizi vaginali e anali. Questa strana pratica di preparazione del defunto viene ancora oggi eseguita in alcune aree del Libano. Altro dettaglio particolare è stato il ritrovamento di una chiave in legno sul corpo di una delle mummie di donne adulte. Secondo la tradizione, al funerale dell'ultimo membro sopravvissuto di una famiglia, la chiave della casa della persona morta viene gettata sul tetto dell’abitazione in cui ha vissuto, indicando che la casa di quella famiglia sarà chiusa per sempre. In questo caso, la persona morì in una grotta assediata, quindi la chiave fu lanciata nella tomba. Quando la guerra finì, le mummie furono affidate agli esperti per una prima vera analisi scientifica. Dopo i primi studi condotti a Beirut, nel 2015 le mummie passarono nelle mani di un eccellente gruppo di ricercatori italiani. Era sorto, infatti, nel frattempo un accordo tra il Museo Nazionale di Beirut e la Cooperazione italiana del Ministero degli Affari Esteri per ristrutturare e riaprire il museo che non era stato risparmiato dai bombardamenti della guerra civile. Le mummie furono analizzate dai ricercatori dell’EURAC di Bolzano per studiare lo stato di conservazione e le modalità migliori per collocarle nei nuovi spazi museali.

Marco Samadelli, ricercatore dell’EURAC, fu inviato a Beirut per prelevare campioni microbiologici che furono in seguito inviati nel suo studio di Bolzano. L’Istituto di ricerca altoatesino, noto per avere uno dei migliori laboratori per lo studio del DNA antico, sotto il controllo di Samadelli svolse le analisi alla ricerca dei funghi responsabili del deterioramento di alcune mummie. Samadelli dichiarò: “I parametri ambientali in cui sono state conservate le mummie sono accettabili. Dalle prime prove di pulizia e restauro ho appurato che nonostante un certo grado di deterioramento sarà ancora possibile esporle”. L’esito delle indagini diede conferma circa le circostanze del decesso, ovvero durante un periodo di assedio prolungato. Le modalità di sepoltura chiarirono definitivamente l’appartenenza dei soggetti al gruppo dei cristiani maroniti di ‘Assi el Hadath. Anche l’ultima missione dell’EURAC, ovvero il restauro e la vestizione delle mummie, andò a buon fine. Oggi è possibile osservare le mummie in una sezione speciale al piano inferiore del Museo Nazionale di Beirut.
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