BEIRUT - LIBANO
Tempo di lettura stimato: 5 minuti
Il Libano è noto per essere stato vittima di una lunga e dolorosa guerra civile. Oggi, nonostante i problemi economici, le continue tensioni con il vicino Israele e un numero sempre più elevato di profughi in fuga dalla Siria, il Libano è in cerca di un nuovo inizio. La rinascita del paese è affidata principalmente ai patrimoni culturali. Un esempio è il Museo Nazionale di Beirut, un luogo dove poter rivivere la storia dell'antico paese dei cedri e dei Fenici.

Beirut, Libano. Una nazione dilaniata da una lunga e dolorosa guerra civile e dalle continue tensioni con il vicino Israele. Un paese che vuole un nuovo inizio. Dopo nove mesi di trattative delicatissime, nei primi giorni di febbraio 2019 il premier uscente Saad Hariri è riuscito a confermarsi alla testa dell’esecutivo, annunciando l’accordo per la formazione del nuovo governo libanese dopo le elezioni del 6 maggio 2018. Molti gli imbarazzi e le tensioni nel nuovo governo Hariri per il fatto di avere al suo interno movimenti e gruppi politici che sono in lotta fra di loro, in primis la presenza del partito sciita Hezbollah, il solo gruppo politico a mantenere in armi una potentissima milizia, l’unica a non essere stata sciolta dopo gli anni della guerra civile. Tra i temi più delicati che il governo libanese dovrà affrontare ci sono il rapporto con il governo siriano di Bashar Assad, il ruolo di Hezbollah nella vita politica libanese, la presenza di 1,5 milioni di rifugiati siriani sul territorio, ma soprattutto le condizioni catastrofiche dell’economia libanese, un paese con un debito pubblico del 141%. L’agenzia Moody’s ha abbassato il rating del paese, sostenendo che il Libano ha “un rischio credito molto elevato” e l’unione Europea sta aspettando le prime mosse del neo-governo per la concessione di 10 miliardi di aiuti promessi alle conferenze di Roma e Parigi, destinati alla stabilizzazione finanziaria, al rilancio dell’economia e alla modernizzazione delle forze armate nazionali. Fortunatamente esiste un patrimonio che in ogni paese riesce sempre a garantire orgoglio, fiducia e speranza: la cultura.

Quella che oggi appare una nazione in forte difficoltà, un tempo era il cuore della civiltà fenicia, il popolo di marinai e commercianti che per secoli fu il protagonista del Mediterraneo. Oltre ad essere abili navigatori, i Fenici ebbero il merito di aver gettato le basi per l’invenzione dell’alfabeto fondato sul principio dell’acrofonia, cioè attribuendo a un segno ideografico il valore fonetico corrispondente alla sua consonante iniziale. La testimonianza più antica dell’alfabeto fenicio si trova incisa sul bordo del coperchio di un sarcofago da cui oggi, duemila anni dopo, nascono nuove possibilità di riscatto per l’antica terra dei cedri. Questo sarcofago, conosciuto come il ‘’sarcofago di Ahiram’’, risale al X sec. a.C. ed è la più antica testimonianza dell’alfabeto fenicio, oltre ad essere la prima e più antica opera d’arte fenicia. Il sarcofago di Ahiram è uno dei più preziosi reperti contenuti nel museo da cui il Libano vuole ripartire: il Museo Nazionale di Beirut.
Fin dal principio, questo museo, costruito nel 1930 ed inaugurato nel 1942, fu destinato a raccogliere le diverse antichità del territorio libanese, dall’epoca preistorica fino alla fine del VI sec. a.C., ramificandosi in diverse sezioni relative all’epoca medievale. L’importanza storica dei suoi reperti non lo salvò dalla terribile guerra civile del 1975, costringendo le autorità ad imporne la chiusura. I piani alti furono occupati dai cecchini e le mura bersagliate dai colpi di mortaio. I reperti furono miracolosamente salvati dall’allora direttore Maurice Chehab che ricoprì di cemento i pezzi più preziosi e murò il piano interrato dell’edificio. Il museo si trova esattamente in Damascus Street, sulla ex linea di demarcazione che divideva la zona ovest musulmana da quella est cristiana, nota come green line perché invasa dalla vegetazione.

Ancora oggi, sulle facciate dei palazzi che circondano il museo, sono visibili i segni degli scontri della guerra civile terminata nel 1990, durante la quale la morte prese il posto della vita. Una guerra recente e con cicatrici ancora aperte, difficili da dimenticare e da rimarginare anche per i giovani. Può un museo rappresentare un primo passo per la rinascita di un paese? Credo proprio di sì. In un mondo in cui dei non-essere chiamati Isis radono al suolo l’identità storico-culturale di paesi che hanno fatto la storia, come l’Iraq e la Siria, si deve credere che la riapertura di un’istituzione permanente al servizio della società sia la dimostrazione che la cultura vince sempre.

Dopo 41 anni, nel 2016, il Museo ha riaperto tutti i suoi tre piani, rivelando i segreti della storia del paese dei cedri e rendendo nuovamente fieri i libanesi del proprio patrimonio umano e storico. Ho avuto la fortuna di visitarlo durante il mio viaggio in Libano. Un’emozione forte. Molto spesso, troppo spesso, udiamo la parola ‘’guerra’’, ma in realtà non la sentiamo. Ci sembra qualcosa di lontano, come una malattia esotica o estinta da cui non verremo mai infettati. Siamo fortunati a vivere in un bel paese che, nonostante i suoi problemi, ci garantisce la certezza di non conoscere da vicino gli effetti di una guerra. Non si può però dimenticare o guardare altrove. Beirut, ed il Libano in generale, sono un’occasione per riflettere su questo male e sulle ferite che non riguardano solo il ‘’padrone denaro’’ a noi tanto caro, ma la Vita.

È stato bello vedere guide che con fierezza raccontavano ai ragazzi la storia delle opere del museo. Anch’io mi sono sentita fiera del mio paese quando ho letto che, grazie al supporto della Cooperazione Italiana, è stata possibile la riapertura del terzo piano del museo, l’ultimo a riaprire. Nei giorni dell’inaugurazione Paolo Gentiloni ha dichiarato: ‘’Se i tagliagole dell'Isis mettono le bombe sotto i monumenti, le opere d'arte e i reperti archeologici, lo fanno perché vogliono affermare la loro indisponibilità a convivere con nessun’altra civiltà. Vogliono imporre la loro cultura. Ecco, in Libano la Cooperazione italiana e il governo libanese, nel far rivivere questo Museo, vogliono affermare esattamente il contrario. La preservazione dell’identità culturale è fondamentale contro il terrorismo". Come detto in precedenza, il Museo Nazionale chiuse all’inizio della guerra civile, ma resistette con le sue opere nascoste sotto al calcestruzzo fino all’inizio del nuovo secolo. Nel 2009, la Direzione Generale delle Antichità libanese chiese il sostegno della Cooperazione italiana per realizzare un progetto di restauro. I lavori, condotti sotto la direzione di Giorgio Capriotti, in collaborazione con restauratori italiani e libanesi, hanno permesso di riportare in vita gli affreschi e di ripristinare tutti i reperti. Nel rimetterlo a nuovo, gli architetti hanno pensato di lasciare, come elemento di memoria, un buco aperto nel Mosaico del Buon Pastore, lo stesso dal quale i cecchini sparavano, appostati all'interno. Così, il Museo Nazionale di Beirut, da bunker sulla linea verde, è diventato il custode di una storia cominciata oltre 2000 anni fa nel nostro Mediterraneo.

Il museo contiene collezioni di notevole importanza. Le principali sono una collezione d'oggetti preistorici e protostorici, principalmente provenienti da Jbeil, l’antica Byblos, una collezione di gioielli fenici, egizi e romani provenienti da Byblos e Sidone, il sarcofago d'Ahiram, obelischi e statue provenienti dai maggiori porti del Libano a testimonianza del legame commerciale e di amicizia con l’Antico Egitto, tombe, maschere funerarie, orecchini, anelli e braccialetti di epoca romana, figurine di terracotta risalenti al neolitico e all’età ellenistica, e una vasta collezione di mosaici dal II sec. d.C. al VII sec. d.C.

La nuova esposizione del piano seminterrato presenta una prestigiosa collezione di 520 reperti riguardanti l'arte funeraria libanese nel corso dei millenni, dalla preistoria fino alla conquista islamica, con oggetti del periodo mamelucco. Il percorso di visita conduce alla più grande collezione al mondo di sarcofagi antropomorfi, risalenti al IV-V sec. a. C., e agli affreschi romani della Tomba di Tiro, scoperti da un pastore nei campi vicino a Burj el Chemali, trasportati a Beirut nel 1947 e restaurati grazie ad un precedente intervento della Cooperazione Italiana. Tra i reperti più curiosi ed interessanti ci sono un beauty case del 1400 a.C., uno degli esemplari di cedro più antichi al mondo e le mummie maronite di Qadisha.

Queste otto mummie del XIII secolo d.C. furono rinvenute nel 1989 nella Valle di Qadisha, all’interno della grotta di 'Assi-el Hadath nel nord del Libano. Grazie al lavoro di Eurac, il centro di ricerca di Bolzano, celebre per l’opera di conservazione di Ötzi, oggi è possibile osservare i resti di queste mummie esposte per la prima volta dopo il ritrovamento. Sembra quasi un paradosso che la morte serva a celebrare la rinascita di un paese. Anche l’arte funeraria è una forma di cultura e il patrimonio storico è fondamentale in Libano, un luogo di diversità che convivono da sempre nel disperato tentativo di trovare un equilibrio. La cultura chiama pace, quindi auguri caro Libano, che questo museo sia solo l’inizio di un futuro in ascesa in cui riscoprirsi fieri di discendere dal popolo che, con Greci e Romani, rese il nostro mare, il centro del mondo.
Fonti: ansa.it - museebeyrouth-liban.org - repubblica.it - la stampa.it - aicsbeirut.org - ilgiornaledellarte - oics.it - cameraitaloaraba.org - tayyar.it
Scrivi commento