di STEFANIE BROCKHAUS e ANDREAS WOLFF
Tempo di lettura stimato: 4 minuti
«Critico la rigidità religiosa, il terrorismo e chi uccide in nome dell’Islam. Critico chi vuole gli arabi chiusi tra di loro e ostili nei confronti degli altri».
Con queste parole si apre The Poetess un documentario di Stefanie Brockhaus e Andreas Wolff dedicato alla poetessa e attivista saudita Hissa Hilal che con le sue poesie contro il fanatismo di matrice islamica è diventata famosa in tutto il mondo per avere partecipato al talent show “Million’s Poet”. Il documentario mostra la forza di una donna profondamente ancorata alla propria fede islamica, ma anche capace di denunciare coloro che agiscono o applicano in modo radicale la religione musulmana.

Hissa Hilal è una scrittrice saudita autodidatta che per anni ha utilizzato lo pseudonimo Remia per scrivere i suoi potenti versi di denuncia. Di origine beduina, Hissa ha sempre affidato le sue idee alla poesia vernacolare nabati, una forma tribale di produzione letteraria in versi tipica dei paesi del Golfo persico, conosciuta anche come ‘’poesia del popolo’’ o ‘’poesia dei beduini’’. Il documentario The Poetess descrive il momento in cui Remia decide di mostrarsi al mondo con la sua vera identità.
Nel documentario, Hissa racconta che mentre era a casa a guardare lo show “Million’s poet” con i suoi quattro figli e il marito giornalista, si rese conto che «le poesie che venivano recitate non avevano nulla a che fare con la poesia nabati e che non c’erano donne tra i partecipanti». Presa dall’entusiasmo, decise di prendere informazioni per iscriversi al talent show poetico. Le audizioni si tenevano a Riad, la capitale e il simbolo della chiusura dell’Arabia Saudita, così Hissa dovette abbandonare l’idea di presentarsi sola in mezzo a concorrenti di genere maschile. Poi però le fu detto che era possibile fare le audizioni anche ad Abu Dhabi, una città dalla mentalità molto più moderna e civile. Prima di partire per gli Emirati Arabi, Hissa chiese consiglio al marito, il quale le suggerì di utilizzare il suo vero nome, ma di coprirsi con il niqāb per scongiurare ogni possibile attacco degli estremisti contro la famiglia. Il programma Sha'ir al-Milyun ("Il Poeta da un milione") ha, infatti, un’audience immensa in tutto il Medio Oriente, dove tradizionalmente la poesia è molto seguita. Questo talent show, organizzato, sponsorizzato e distribuito dall’Autorità di Abu Dhabi per la cultura (Adach), ha l’obiettivo di trovare e premiare con 1 milione e 300mila dollari il miglior scrittore di versi del mondo arabo.
Il documentario inizia proprio con le audizioni nell’Al Raha Beach Theater di Abu Dhabi e le prime fasi eliminatorie. Davanti ad un pubblico di oltre 75mila telespettatori sconcertati e 48 concorrenti provenienti dai paesi del Golfo e dalla Giordania, Hissa legge la sua prima poesia: «Le donne beduine del Najd hanno un detto: non ci si può fidare degli uomini nelle loro relazioni con le donne. Quando vogliono sono bravi con te ma quando ti lasciano sono molti crudeli. Dicono che sono protettori delle donne, ma di loro non ci si può fidare. Quando entrano nella tua vita, la riempiono di luce e quando se ne vanno ti schiacciano con la coda. Non sanno resistere alle donzelle dei fiori cedendo alla loro giovane bellezza, ma dopo che ti hanno preso presto diventerai l’ultima e una nuova moglie sostituirà i ricordi della prima». I versi vengono accolti dagli applausi inaspettati del pubblico presente, anche se uno dei giudici non esita a dire che la poesia è una chiara istigazione alla ribellione contro i mariti. Nonostante la critica, Hissa passa il turno e procede alla seconda puntata del talent show.
Il successo della prima poesia si ripete nella sua seconda esibizione. «Quando sono andata via dal deserto per andare in città avevo sei anni, mio nonno aveva molti cammelli ed era triste di lasciare la vita che conosceva e di andare a vivere tra quattro mura. Piano piano le persone sono diventate materialiste. La vita tribale era semplice, libera e fuori da ogni sistema. Ai tempi dei nonni c’erano tribù dove le donne non indossavano il burqa. Le donne potevano lavorare e avere il loro business. La ragione del burqa era di proteggere dal sole e dagli uomini del deserto. Era una ragione logica al tempo. Oggi siamo a un punto di non ritorno. Non possiamo tornare alla vita nel deserto». Anche questa poesia viene accolta da molti consensi che le permettono di arrivare alla finalissima contro i poeti Jazaa Al Boqami, Al Asaimar, Fallah Al Moragi e Nasser Al Ajmi. Durante la serata finale, Hissa Hilal recita una poesia di denuncia della fatwa, considerata uno strumento di terrore che incoraggia azioni violente: «Ho visto il male negli occhi delle fatwa in un tempo in cui ciò che è permesso viene confuso con ciò che è vietato. Quando svelo la verità, un mostro emerge dal suo nascondiglio, crudele nel pensiero e nelle azioni, rabbioso e cieco, indossa una veste e una cintura di morte. Parla da una piattaforma ufficiale e potente, terrorizzando la gente, chiunque cerca la pace diventa sua preda. La voce del coraggio è scomparsa e la verità è silenziosa, quando l’interesse personale impedisce all’individuo di pronunciare la verità».
Questa poesia, intitolata Il caos delle Fatwa, è costata ad Hissa l’aperta ostilità della frangia più radicale e conservatrice della società saudita. Se da un lato gli estremisti la minacciavano di morte, dall’altro numerosi blog e giornalisti occidentali ne esaltavano il coraggio. Nonostante non sia riuscita ad aggiudicarsi il primo posto della competizione poetica, Hissa è riuscita a rompere un tabù che sembrava indistruttibile e a smuovere le coscienze sui problemi attuali della società, in particolare sull’ingiusta emarginazione della donna nella società saudita e sul tema del fanatismo religioso. La fatwa (condanna a morte) pronunciata contro di lei e la sua famiglia, è stata affrontata con dignità e coraggio da Hissa che ha dichiarato: «Come tutti quelli che ricevono una minaccia, prendo la faccenda in modo serio e, al contempo, con leggerezza».
Nel 2017 il documentario The Poetess è stato presentato al Festival di Locarno, suscitando consensi, ma anche molte critiche per il fatto che Hissa Hilal si sia presentata sul palco coperta nel niqāb. Questa scelta, vista da molti come una contraddizione con la sua battaglia per i diritti delle donne musulmane, è stata giustificata dalla poetessa con queste parole: «Il niqāb non cancella la mia mente, i pensieri o l’arte. Copro il mio viso perché molti giornalisti vogliono fotografarmi e mostrarmi è pericoloso. Ma quando cammino per le strade di Locarno il mio volto è visibile a tutti». Ha inoltre chiesto agli spettatori di concentrarsi sulla sua poesia: «Il mio poema è schietto, è chiaro a chiunque conosce la poesia nabati. L’argomento di oggi richiede molto coraggio. Ho visto il diavolo negli occhi di fatwe sovversive. Queste fatwe vogliono isolare la società araba e dichiarare tutti gli altri come nemici. Il niqāb non significa che tu sei favorevole a una ideologia ostile, che tu sei un estremista o un terrorista che desidera distruggere gli altri. Il niqāb ha un background socioculturale. Il malinteso è che gli estremisti usano questo abito come loro simbolo. Forse il poema della fatwa cambierà la storia o diventerà parte della lotta femminista. Non solo per il suo valore letterario ma anche per il suo discorso sociale». Hissa è riuscita a fare qualcosa che molti uomini non sono stati in grado di fare. Ha usato l’intrattenimento per attaccare gli elementi più insidiosi del clero religioso, ispirando milioni di persone ad ascoltare il suo messaggio. Non potremo mai vedere il suo viso, ma potremo leggere altre sue poesie ed apprezzarne la mente che, nonostante il velo, esiste. Il pensiero libero e autonomo sono le armi con cui migliaia di persone combattono il fanatismo dogmatico religioso. Quindi, nonostante le polemiche (da un certo punto di vista comprensibili), dobbiamo apprezzare il coraggio di una donna, nata e cresciuta in Arabia Saudita, che ha scelto di mettere a rischio la sua vita e quella dei propri cari per provare a fare un piccolo passo che, se imitato o ripetuto in altri contesti, potrebbe finalmente portare ad una svolta per i diritti alla pace e all'uguaglianza in Arabia Saudita.
Scrivi commento