MAROCCO - TUNISIA - ALGERIA - LIBIA
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I Berberi sono le popolazioni autoctone del Maghreb che hanno dovuto affrontare l’invasione islamica ed accettare tutte le nuove leggi che ne conseguivano, come il cambio di religione e di lingua. Noti per essere i fieri ‘’uomini liberi’’, i Berberi hanno sempre difeso la propria identità culturale e ancora oggi protestano per ottenere il riconoscimento della loro cultura in tutti i paesi del Nord Africa. Viaggiando tra le popolazioni berbere del Marocco, dell’Algeria, della Libia e della Tunisia, si scoprono racconti mitici legati alle figure che hanno lottato in difesa della libertà e dell’indipendenza. Lo spirito nazionalista berbero è incarnato dalla leggendaria Kahina, l’ultima regina berbera. Divenuta un mito, alimentato dalle credenze popolari nate attorno al suo personaggio, Kahina è una delle figure più importanti per la resistenza berbera durante la conquista Omayyade del Maghreb nel VII secolo.
Il vero nome della regina era Dihya, ma gli Arabi le diedero il soprannome di Kahina, ovvero maga – indovina, per le sue capacità di prevedere gli eventi futuri. Questo epiteto, che probabilmente fu un adattamento arabo del termine fenicio kohenet (sacerdotessa), rivelerebbe il legame con l’occulto della tradizione berbera preislamica. La vicenda di Dihya corrisponde all’ultima grande rivolta di Berberi non musulmani contro gli Arabi e segna un punto di svolta nel processo di conquista araba del Maghreb, iniziato a metà del VII secolo e durato fino alla fine dell’VIII secolo. A differenza di tutte le altre occupazioni arabe, l’invasione del Maghreb fu caratterizzata da molte difficoltà nell’assoggettare militarmente e culturalmente le popolazioni autoctone. La lentezza del processo di conquista araba non fu dovuta, infatti, alla scarsa efficacia della difesa bizantina, ma all’ostinata resistenza dei Berberi, che al di fuori, ma anche all’interno dei territori controllati dai bizantini, costituivano un mondo a sé, basato ancora su una società tribale e tenacemente attaccato alle proprie libertà.

La storia di Dihya si colloca nel pieno di una catena di battaglie e vendette sanguinose, a seguito della conquista nel 670 della città di Kairouan (Tunisia) da parte di Oqba Ibn Nafi, il generale a capo delle truppe arabe musulmane omayyadi in Ifriqiya. Kousseyla, capo berbero della regione dell’Aurès (un massiccio montuoso nell'est dell'Algeria) fu ucciso dall’Omayyade Oqba nel 683. Kahina era la sposa di Kousseyla e godeva della stima e del rispetto sia dei berberi, che dei bizantini. Per le sue doti di leader e di guerriera, succedette al marito Kousseyla come capo delle tribù berbere.

Oltre a vendicare la morte del marito, la priorità di Kahina era di fermare e annientare le truppe omayyadi. Nel 688 affrontò vicino alla città algerina di Khenchela i rinforzi arabi inviati da oriente sotto il comando del governatore dell’Egitto, Hassan Ibn Numan. Gli arabi furono sconfitti e successivamente inseguiti fino in Tripolitania (l’attuale Libia). Kahina fece allora ritorno nell’Aurès, dove adottò uno dei suoi prigionieri arabi, Khalid ibn Yazid. Hassan Ibn Numan, che dopo la vittoria di Kahina si era rifugiato in Egitto, nel 698 ripartì verso occidente e conquistò Cartagine ed altre città del Maghreb.

L’esercito di Ibn Numan si fermò presso Oum el-Bouaghi (Algeria) una località vicina ad alcuni bacini d’acqua, ideali per raccogliere le forze prima di sferrare un altro attacco ai Berberi. Ma Kahina era già sulle tracce degli arabi. Durante la notte, la regina nascose le sue truppe sulle alture delle montagne per cogliere di sorpresa il nemico all’alba. Quando gli arabi partirono all’attacco, furono accolti da una pioggia di frecce tirate dai berberi, nascosti tra le zampe dei dromedari. I berberi sconfissero gli arabi e li inseguirono sino alla città costiera tunisina di Gabès. Questa vittoria, chiamata “la battaglia dei cammelli”, permise a Kahina di espellere gli omayyadi dall’Ifriqyia. Sconfitti in battaglia e nell’orgoglio, gli arabi si fermarono in Tripolitania per cinque anni. In questo lungo periodo, gli equilibri interni delle popolazioni berbere cambiarono drasticamente, spianando la strada alla futura conquista araba.

Non convinti dell’arresa degli arabi, i berberi nomadi delle zone interne dell’Algeria in accordo con Kahina, decisero di fare terra bruciata per rendere i territori meno appetibili alle mire espansionistiche degli Omayyadi. Tuttavia, i berberi sedentari della costa non erano concordi con questa politica. Segretamente si misero d’accordo con il figlio adottivo di Kahina, Khalid ibn Yazid. Questi, dopo essersi accertato dei piani della madre, inviò degli emissari a Ibn Numan, rivelandogli tutte le strategie future delle tribù berbere nomadi di Kahina. Il generale arabo chiese rinforzi al califfo Abd Al-Malik, che gli concesse diverse migliaia di guerrieri per riconquistare l’Ifriqyia. L’ultima battaglia si svolse presso Tarfa, con gravissime perdite per entrambi i fronti. Ne uscì vincitore Mūsā ibn Nusayr, un comandante militare yemenita. La regina berbera si rifugiò nell’anfiteatro romano di El Jem, ma fu trovata dagli arabi e portata nel suo luogo natale, le montagne algerine dell’Aurès. Le versioni sulla morte di Kahina differiscono in base all’origine della fonte. Secondo gli storici arabi la regina fu decapitata e la sua testa fu inviata a Damasco al califfo come simbolo della sottomissione dell’intero Maghreb all’Islam, mentre secondo i berberi Kahina si suicidò con del veleno per non essere uccisa dal nemico e costretta a convertirsi. La tradizione vuole che la regina morì in una località dei monti dell’Aurès che conserva tuttora il suo nome: Bir al-Kahina, "il pozzo di Kahina".

Secondo le testimonianze dello storico tunisino Ibn Khaldūn, prima dell’ultimo scontro con le truppe arabe, Kahina, che grazie alle sue doti di veggente già conosceva l’esito della battaglia, riunì i suoi tre figli (tra cui il traditore Khalid ibn Yazid) e domandò loro di allearsi con i vincitori. Questa richiesta non deve essere letta come una sottomissione, ma come un ultimo disperato tentativo di tenere in vita la cultura e l’etnia berbera. Come segno di resa, i figli di Kahina furono costretti da Mūsā ibn Nusayr ad aiutare gli arabi nella conquista e nell’islamizzazione dell’Andalusia. Dopo la morte di Kahina, i berberi furono costretti a convertirsi all’Islam, ad utilizzare l’alfabeto arabo e a rinnegare tutte le loro tradizioni. I bizantini, che erano stati testimoni passivi delle imprese di Kahina, scomparirono definitivamente dal Maghreb. Le comunità ebraiche e cristiane dovettero nascondersi per praticare la loro fede.

Tuttavia i berberi riuscirono, nonostante le violenze e i soprusi, a tramandare le loro tradizioni sociali, a preservare la purezza della loro etnia evitando matrimoni misti e a mantenere in vita l’alfabeto Tifinagh, un sistema di scrittura di derivazione fenicia. Ancora oggi, dopo più di mille anni, in alcuni territori in cui arabi e berberi vivono vicini, come l’araba Bouarfa e la berbera Figuig in Marocco, si parla di queste battaglie come l’inizio di una condivisione forzata di culture. Se gli arabi elogiano il comandante yemenita Mūsā ibn Nusayr, i berberi celebrano la figura di Kahina. La questione del riconoscimento della cultura berbera è uno dei temi sociali più caldi del Maghreb, con manifestazioni e proteste che spesso restano inascoltate dalla politica. Gli oltre mille anni di presenza araba sul territorio hanno minato le antiche tradizioni, anche se alcuni rituali come i tatuaggi sul viso delle donne, la musica, la poesia, la danza e in generale tutte le forme di arte e di artigianato sono un mezzo per garantire la sopravvivenza dell’identità berbera.

Anche se molte donne ricorrono alle moderne tecniche laser per farsi rimuovere i tatuaggi sul viso, molte altre continuano a sentirsi fiere ed orgogliose di discendere da un popolo che ha difeso con ogni mezzo la propria libertà. Kahina, che oltre ad essere un esempio di rivalsa per la donna all’interno di una società maschile e il simbolo dell’orgoglio etnico dei berberi, è diventata negli ultimi anni l’emblema della crisi dell’identità nazionale. Da un lato i berberi e i democratici inneggiano alla Kahina quale “Madre della nazione” per sottolineare il loro radicamento nell’identità autoctona, mentre dall’altro gli arabofili e gli islamici condannano la Kahina come “nemica dell’Islam”. Un esempio è il caso della statua di Kahina nella piazza principale della città algerina di Baghai. Per contenere i disordini nati tra berberi ed arabi, si è dovuto ricorrere ai vertici dello stato. Negare il diritto all'ufficializzazione della lingua berbera, è come rinnegarne l'esistenza. Un passo avanti in questo senso è stato fatto nel 2011 dal re del Marocco Muhammad VI col riconoscimento del tamazight come lingua ufficiale.
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