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Il Maghreb rappresenta una regione eterogenea e variegata dal punto di vista etno-linguistico. I depositari della vera origine identitaria di questo ampio territorio che comprende Marocco, Algeria, Libia e Tunisia sono gli Imazighen, comunemente conosciuti come Berberi. La storia di questo popolo ha radici antiche ed è caratterizzata da un forte senso d’appartenenza culturale che ne ha garantito la sopravvivenza, nonostante la conquista araba e l’islamizzazione della regione.
L’origine della parola berbero non risale agli stessi indigeni, ma è un termine che gli arabi presero in prestito dal greco per riferirsi alle popolazioni dei territori conquistati. I greci erano soliti chiamare βᾰ́ρβᾰροι (da rendere similmente a ‘’coloro che balbettavano’’, poiché non parlavano greco) tutti i popoli che non appartenevano alla cultura ellenica. Gli arabi, che con i greci avevano avuto contatti commerciali, decisero di riutilizzare questo termine per definire i popoli autoctoni non musulmani che abitavano le regioni del Maghreb. Il nome che questi gruppi utilizzavano per definirsi era Imazighen, un vocabolo che significa ‘’uomini liberi’’.

Molti storici, linguisti e antropologi si sono interrogati circa l’origine di questo strato etnico primitivo del Maghreb, avanzando tre ipotesi. Secondo una prima teoria, chiamata della stirpe mediterranea, i berberi farebbero parte insieme ad egiziani, nubiani, abissini, galla e somali, al gruppo etnico camitico autoctono dell’Africa, che avrebbe avuto la sua origine nell’attuale Etiopia e da dove poi si sarebbe diffuso in altre regioni africane e nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La seconda teoria avanza l’ipotesi che, sulla base delle affinità rilevate fra la famiglia linguistica camitica e quella semitica, le popolazioni berbere avrebbero avuto come luogo d’origine la Penisola Arabica e che si sarebbero spostati nel corso della storia verso i territori del Maghreb e della Mesopotamia del nord. L’ultima teoria è un compromesso tra l’ipotesi asiatica e la stirpe mediterranea: le popolazioni berbere sarebbero composte di elementi diversi, più o meno fusi fra di loro, in parte autoctoni dell’Africa, in parte provenienti da Europa e Asia. Questa terza teoria sembrerebbe essere la più probabile poiché, se si supera la dicotomia tra camitici e semitici, risulta molto più verosimile che i berberi siano afro-asiatici-mediterranei. Un’ulteriore conferma alla teoria dell’origine mista, è stata fornita dagli esami dei caratteri somatici dei berberi. Il tipo arabo è stato riscontrato sporadicamente solo in qualche individuo, mentre i tratti mediterranei (da intendersi del Nord Africa e dei territori del Mediterraneo orientale) sono i più numerosi. Anche dal punto di vista linguistico, la lingua parlata dai berberi è camitica, ovvero appartenente al gruppo linguistico camitico che riflette un modello meno evoluto del semitico.

Data la mescolanza etnica, i Berberi non sono da intendersi come gruppo etnico ''puro'' del Maghreb, ma come un popolo che nel corso della storia ha creato una cultura propria, basata sull’unicità della lingua. Attualmente, la lingua berbera, risulta suddivisa in una serie di dialetti che a volte tendono a raggrupparsi in più vaste unità regionali, ma che in qualche caso sono ridotti a parlate di estensione molto limitata. I principali dialetti sono il tamahaq (parlato dai Tuareg del Sahara), tašawit (concentrato sulla catena montuosa algerina dell’Aurès), il taqbaylit (il dialetto della regione algerina della Cabilia), il tarifit (parlato dai berberi del Rif in Marocco), il tanaziyt (Medio Atlante marocchino) e il tašlhit (parlato dai Berberi dell’Alto Atlante, Anti-Atlante e della regione dell’Oued Sous). In Egitto, Libia, Tunisia e Mauritania la popolazione che parla la lingua berbera è percentualmente molto bassa. Differente è la situazione in Algeria e in Marocco, dove la popolazione berberofona è rispettivamente il 30% e il 45%.

Le regioni in cui ancora oggi sono concentrati i Berberi, corrispondono alle zone in cui storicamente è avvenuta la lotta contro gli arabi invasori. Le prime notizie storiche sul popolo berbero risalgono al III a.C., quando si iniziarono a delineare due gruppi che spesso furono anche rivali a causa di diversi stili di vita e di pensiero: i berberi nomadi delle zone montuose e desertiche e i berberi sedentari della costa. Dal 40 d.C., anno in cui inizia la dominazione romana, i berberi sedentari, nomadi e semi-nomadi hanno sempre dovuto fronteggiare le invasioni di popoli stranieri.

Il Nord-Africa è stato una parte importante e notevolmente prospera dell’Impero Romano, basata su una fiorente agricoltura, un commercio dinamico e una complessa rete urbana, tra cui spiccava l’antica capitale Cartagine. Durante i primi secoli del cristianesimo, il Maghreb era un territorio abitato da cristiani, ebrei e gruppi animisti. I Berberi venivano chiamati dai romani con l’etnonimo ‘’Mauri’’, un appellativo inizialmente riferito agli abitanti della provincia della Mauretania (attuale Marocco e Algeria occidentale), poi esteso a tutti gli individui che erano organizzati in tribù. La politica romana, concentrata principalmente su fattori economici, prevedeva il raggiungimento di rapporti pacifici con le popolazioni locali, mediante accordi con i capitribù. Il governo romano si limitava a controllare i confini e ad assicurarsi una rendita economica, lasciando liberi i Berberi di vivere secondo la propria cultura. Tuttavia, con il consolidamento e lo sviluppo dell’economia costiera, i berberi dell’entroterra furono sempre più tentati di sovvertire questo equilibrio. I Romani furono sempre in grado di trovare accordi che scongiurassero il rischio di azioni rivoltose o di conflitti, fino a quando l’introduzione del cammello accrebbe il dinamismo dei Berberi. L’importazione dei cammelli dall’Asia nel II sec. d.C. in concomitanza con l’inizio del declino dell’Impero Romano, rese i Berberi nomadi e semi-nomadi più competitivi con la popolazione costiera. Se da un lato i Berberi della costa, da sempre in buoni rapporti con i Romani, volevano mantenere un equilibrio, quelli dell’entroterra miravano a creare una propria rete di commerci che andava dalle Coste dell’Atlantico, passando per le zone desertiche, fino a Leptis Magna.

A partire dal IV sec. d.C., la pressione berbera sull’Africa romana era dunque in aumento e iniziò un periodo di incursioni dei Berberi dell’entroterra verso le aree costiere, soprattutto in Libia e Algeria, in concomitanza con le sporadiche invasioni dei Vandali. Questi ultimi riuscirono a conquistare, anche se per un breve periodo, le coste del Maghreb, ma trovarono nei Berberi degli avversari temibili. Nel VI secolo ebbe luogo la riconquista romana o, più̀ precisamente, bizantina. Tuttavia, le doti diplomatiche dei bizantini non erano più sufficienti a gestire l’aggressività berbera e quindi si dovette procedere allo scontro. Mentre bizantini e Berberi erano impegnati a contendersi il Maghreb, nella Penisola Arabica, nasceva un profeta che avrebbe cambiato per sempre gli equilibri politici, sociali, linguistici e religiosi del mondo.

Le offensive arabe nel Maghreb cominciarono circa dieci anni dopo la morte di Maometto, avvenuta nel 632 a Medina. In un primo momento gli arabi non nutrivano ancora propositi di conquista, ma le prime vittorie facili e le entità dei bottini, spinsero i fedelissimi di Maometto a ripartire per una conquista definitiva del Maghreb. L’atteggiamento dei berberi davanti all’avanzata islamica variava notevolmente. Da un lato, i berberi della Tunisia e dell’Algeria orientale, molti dei quali si erano convertiti al cristianesimo o all’ebraismo, sostenevano i bizantini contro l’avanzata araba; dall’altro, i berberi libici e marocchini dell’entroterra si sottomisero agli arabi nella speranza di trarre profitti economici. La maggior parte di essi si convertirono subito all’Islam e contribuirono con contingenti importanti alle varie armate di invasione arabe. In questo contesto di conflitti intestini, va ricordata la regina Dihya, sovrana della tribù delle montagne algerine dell’Aurès, nota con l’epiteto di al Kahina, la strega in arabo. Divenuta il simbolo della resistenza berbera contro gli invasori islamici, Dihya fu a capo dell’ultima grande rivolta di berberi contro gli arabi. Dopo la sua morte (VII sec.), il processo di conquista ed islamizzazione del Maghreb fu definitivo e irreversibile.

La figura di Kahina introduce un aspetto molto interessante sull’organizzazione delle tribù berbere e su molti aspetti culturali riscontrabili ancora oggi. Il potere politico era detenuto da capi che venivano considerati monarchi. Non esistevano regole di successione definite e codificate, cosicché al capo defunto poteva subentrare un fratello, un figlio o la moglie. Accadeva spesso che le successioni generassero disaccordi e lotte intestine che, nel caso più̀ estremo, potevano determinare un frazionamento permanente della tribù̀. Tale frammentazione politica e conseguentemente geografica, minò l’omogeneità berbera e determinò l’inizio di quello che ancora oggi costituisce la problematica sociale del riconoscimento culturale berbero. Anche dal punto di vista religioso si riscontra un panorama eterogeneo. Molti berberi aderirono all’Islam, altri mantennero la fede cristiana ed ebraica, altri ancora non abbandonarono i culti tradizionali primitivi di tipo animistico. Se il rapporto tra le varie tribù è mutato nel corso dei secoli, l’organizzazione interna non ha subito significative variazioni.

Nei centri urbani, soprattutto le giovani generazioni, hanno lottato per il riconoscimento della cultura berbera come componente fondante dell’identità del Maghreb. La situazione, così come il numero dei berberi, muta da paese a paese. I due casi che meglio dipingono il rapporto tra i governi e la popolazione berbera sono la Libia e il Marocco. Gli Imazighen libici, nonostante il forte peso demografico, hanno subito persecuzioni durante il regime di Gheddafi. In nome dell’ideologia nazionalista islamica, il Rais ha negato ufficialmente l’esistenza di tutte le comunità minoritarie, costringendo i berberi libici a reprimere la loro identità storico-culturale. Per decenni la lingua Tamazight è stata vietata e addirittura i nomi propri di origine Amazigh sono stati cancellati. Chiunque ostentasse un legame con il mondo berbero veniva considerato nemico dell’unità libico-araba. Durante gli ultimi anni del regime, i berberi si sono ribellati per riaffermare la propria libertà ed esistenza. Dopo la morte di Gheddafi, la mancanza di equilibrio politico e sociale della Libia, ha interrotto le iniziative culturali degli Imazighen. Data l’attuale situazione, in cui sono apparse anche le bestie dell’Isis, la possibilità concreta di una rinascita berbera in Libia sembra recondita.

Una situazione diversa è quella del Marocco, il paese più politicamente stabile dell’Africa e con la più alta percentuale di berberi. In seguito alle proteste del movimento “20 Febbraio”, che si collocano nel più̀ ampio quadro delle Primavere arabe, l’adozione di una nuova Costituzione promulgata nel 2011 dal sovrano Mohammed VI dopo un referendum popolare, ha rappresentato per il Marocco la possibilità di mantenere una situazione di stabilità politica e sociale.

All’interno dei movimenti di protesta che portarono al nuovo ordinamento giuridico, gli Imazighen invocarono una maggior inclusione sociale ed un riconoscimento pubblico della cultura berbera. Il Re accolse le richieste del popolo amazigh, affermando di essere intenzionato a riconoscere ‘’il carattere ricco variegato e allo stesso tempo unito dell’identità̀ marocchina, inclusa la componente amazigh come un elemento centrale ed una risorsa comune che appartiene a tutti i marocchini’’. Prendendo spunto dalla Costituzione algerina del 2002, che definì per la prima volta nella storia del Maghreb il Tamazight “lingua nazionale” (divenuta poi anche ufficiale nel 2016), la Costituzione marocchina ha sancito l’esistenza di un’unità nazionale ''che si è nutrita ed arricchita dalle sue affluenze africane, andaluse, ebraiche e mediterranee''.

In uno degli articoli della Costituzione viene chiaramente espresso che l’idioma del popolo amazigh costituisce una lingua ufficiale dello Stato, in quanto patrimonio comune di tutti i marocchini senza eccezione. Anche se l’arabo, per ragioni di fede e di diffusione, resterà la lingua ufficiale, mentre il berbero è una delle lingue ufficiali, questo insieme di norme ha fortemente contribuito a ridare dignità alle culture che fino ad allora erano state considerate secondarie o, addirittura, inesistenti. Il fatto che questo riconoscimento (che è stato attribuito anche ad altre culture, come quella sahrawi) sia inserito nel codice legislativo, garantisce un futuro piano d’azione volto a contribuire alla diffusione e alla protezione dell’identità linguistica e culturale berbera.

Dagli articoli della Costituzione, risultano chiare la presa di coscienza e la volontà da parte del governo marocchino di staccarsi da un’ormai sorpassata visione identitaria monolitica arabo-islamica. Un segnale forte e di impatto è stato lanciato attraverso l’apertura di scuole di lingua Tamazight, la creazione di un intero canale televisivo dedicato alla cultura amazigh, la realizzazione di film in lingua berbera e la diffusione di molti quotidiani. Il caso del Marocco dovrebbe essere preso d’esempio anche dagli altri paesi del Maghreb, in particolare dalla Tunisia, dove ancora esiste un forte negazionismo della cultura berbera. In un mondo un cui tutto si evolve rapidamente e gli equilibri sono sempre più precari, l’unica risorsa che può garantire speranza e fiducia è la cultura. Un cambio di prospettiva è necessario perché la storia, la lingua e i popoli non possono essere visti come un ostacolo, ma come la più grande arma che abbiamo per fermare il fanatismo dogmatico che trae forza dalla paura ''del diverso''.
Fonti: infomedi.it - lospiegone.com - sapere.it - limesonline.com - wadi-adrar.org - Antropologia sociale di P.H. Stahl - rivistaetnie.com - ilfoglio.it - edizionicafoscari.unive.it
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