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Turtles Can Fly, una piccola storia di immense proporzioni

UN FILM DI BAHMAN GHOBADI

Tempo di lettura stimato: 8 minuti

"Ero totalmente impreparato all'esuberanza e al potere indimenticabile di Turtles Can Fly del regista curdo Bahman Ghobadi.

Non c'è nessun messaggio politico esplicito nel film, eppure le centinaia di bambini senza genitori, molti con arti amputati da mine antiuomo, raccontano una storia di guerra che trascende la politica." 

recensione di Talking Pictures TV 

Genere: drammatico

Colonna Sonora: Hossein Alizadeh

Sceneggiatura: Bahman Ghobadi

Durata: 98′

Origine: Iran

Premi: Peace Film Award al Festival di Berlino, Concha d'oro per il miglior film al Festival di San Sebastian 2004, Miglior Film Berlinale Kinder Film Fest 2005, Miglior Film Rotterdam Film Festival 2004

BAHMAN  GHOBADI

Nasce a Baneh, nel Kurdistan iraniano, nel 1968. Laureato in Regia cinematografica presso l’Iranian Broadcasting College, Ghobadi inizia la sua carriera artistica nel campo della fotografia industriale nel 1998, girando film in 8mm e realizzando alcuni documentari. A partire dalla metà degli anni ’90, i suoi corti ricevono numerosi premi nazionali e internazionali. A dare una decisiva svolta alla sua carriera è il corto Life in fog. Questo è il primo lungometraggio curdo nella storia del cinema iraniano. Aiuto regista di Abbas Kiarostami per il film Il vento ci porterà via (1999) e attore per Samira Makhmalbaf per il film Lavagne, dopo aver realizzato diversi cortometraggi esordisce alla regia di un lungometraggio nel 2000 con Il tempo dei cavalli ubriachi. Il film, presentato nella Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2000, vince la Caméra d'or per la miglior opera prima e il premio FIPRESCI. Il successivo Marooned in Iraq (2002) viene presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2002. Turtles Can Fly (2004) vince svariati premi nei festival internazionali, tra cui il Peace Film Award al Festival di Berlino, la Concha d'oro per il miglior film al Festival di San Sebastian, il premio del pubblico al Rotterdam International Film Festival. Due anni dopo, con Half Moon, Ghobadi vince nuovamente il premio maggiore a San Sebastian, mentre nel 2009 è per la terza volta a Cannes, con I gatti persiani, vincendo il premio speciale della giuria del Certain Regard. Ghobadi è il primo regista curdo nella storia del cinema iraniano.


Primo film realizzato in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein, Turtles Can Fly (2004) è una storia onesta e straziante di sfollamenti, traumi e sopravvivenza. Diretto dal cineasta iraniano-curdo Bahman Ghobadi, il film è ambientato in un campo profughi curdo al confine iracheno-turco, alla vigilia dell'invasione USA dell'Iraq del 2003.

Alla vigilia dell’invasione americana dell’Iraq e della fine del regime di Saddam Hussein, i rifugiati curdi accampati al confine turco-iracheno attendono con ansia notizie sul proprio futuro. Isolati dal mondo, cercano disperatamente di rimanere aggiornati, installando antenne improvvisate che captano sporadici segnali, spesso in una lingua che non conoscono. La maggior parte dei rifugiati sono bambini orfani, rimasti menomati a causa delle mine impiegate nel conflitto. A capo della comunità di questi bambini c’è Satellite, un tredicenne ossessionato dagli americani che si sposta di campo in campo per sistemare le antenne e garantire queste precarie comunicazioni. Sotto il suo controllo, i piccoli uomini trascorrono le giornate recuperando mine inesplose che poi rivendono per pochi soldi all’esercito americano. La triste e pericolosa routine di Satellite e dei suoi piccoli soldati, viene interrotta dall’arrivo nel campo profughi di Agrin, una bambina che viaggia in compagnia del fratello Hengov, con entrambe le braccia mutilate, e di un bambino non vedente. Questo incontro cambierà per sempre gli equilibri psicologici dei bambini del campo profughi. 

La ragazzina nasconde nella profondità del suo sguardo un terribile segreto fatto di violenze fisiche e psicologiche. Il premuroso fratello, dotato di poteri di chiaroveggenza, tenta con le sue cure e il suo affetto di alleviare le ferite dell’animo di Agrin. Tuttavia ogni sforzo sarà inutile. Mentre Satellite si innamora di Agrin e tenta in ogni modo di farle vivere una condizione migliore, nella mente della giovane riaffiorano i ricordi della notte in cui i soldati fecero irruzione nella città di Halabja. Dopo aver ucciso i suoi genitori, i soldati iracheni la violentarono brutalmente, mentre il povero fratello, nel tentativo di difenderla, perse entrambe le braccia. Con questo flashback si scopre una terribile verità: il bambino che accudiscono non è il loro fratellino, ma il frutto di quella ignobile violenza. L’odio di Agrin e i vari tentativi di disfarsi del bambino, iniziano così a trovare una spiegazione. In uno di questi tentativi, la ragazzina lega e abbandona il piccolo al centro di un campo minato. Satellite, avvertito dagli altri bambini, si precipita per salvarlo, ma proprio quando l’azione sembra conclusa, esplode una bomba che lo ferisce gravemente. 

Nonostante il ferimento di Satellite e le ammonizioni del fratello, la ragazzina è determinata a porre fine alle sue sofferenze. Con una fredda lucidità dettata dai traumi subiti, Agrin lega ad una corda il figlio e lo getta in un piccolo laghetto e poi, senza mostrare nessuna emozione, si getta da un dirupo. Quando il fratello Hengov ha la visione del suicidio di Agrin e del piccolo che annega, corre disperato per tentare di salvarlo, ma è troppo tardi. Hengov trova il corpo del bambino sul fondo del lago, ma non riesce a tagliare la corda a causa della sua disabilità. A Hengov non rimane che piangere la sorella sul ciglio del precipizio dal quale si è gettata. Mentre Hengov e Satellite piangono la morte dell’amata Agrin e del figlio, arrivano gli americani. Quel momento tanto atteso e sognato da Satellite, non ha più senso davanti ad un dolore cieco e disumano che solo la guerra può originare. 

Attacco chimico di Halabja

Halabja è una cittadina iracheno-curda a 15km dal confine iraniano che ha malauguratamente vissuto un solo brevissimo momento di celebrità quando, il 16 marzo 1988 durante il conflitto Iraq-Iran, fu brutalmente bombardata dall’aviazione irachena. Con la motivazione di non essere sufficientemente determinata nel contrastare l'avanzata iraniana, la popolazione curda irachena di Halabja venne sterminata con armi chimiche sprigionate nell’aria dai soldati di Saddam Hussein. Il gas al cianuro uccise all’istante 5.000 persone e oltre 10.000 rimasero per sempre invalide. Le cantine che la gente si era abituata a usare come rifugi dai frequenti bombardamenti iracheni e iraniani, si trasformarono in camere a gas. Non ci fu lo smaltimento dei corpi. I pochi coraggiosi fotografi li trovarono, ammucchiati gli uni sugli altri, senza aver avuto il tempo di reagire. I pochi superstiti trovarono rifugio in Iran, dove vennero accolti e ricoverati. Questo attacco chimico, che già di per sé fu un’azione criminosa, fu ancora più terribile poiché fu deciso da Saddam contro i suoi stessi connazionali. Molti soldati iracheni si rifiutarono di obbedire agli ordini. È famosa la storia del pilota, Iden Mustafa Khatib Zadeh, che si rifiutò di partecipare al bombardamento e venne impiccato per ordine di Saddam. Le armi chimiche, tra cui gas nervino, gas al cianuro e iprite, erano state messe a punto con l’aiuto dell’Occidente e lanciate dagli aerei Super Etendard, che la Francia aveva messo a disposizione di Saddam Hussein. In seguito a questa azione tra il 2007 ed il 2008 vennero processati per crimini contro l'umanità vari gerarchi del regime di Saddam Hussein (ma non quest'ultimo, all'epoca già impiccato per altri crimini), tra cui il comandante militare delle operazioni, Ali Hassan Abd al-Majid al-Tikritieh, che venne condannato a morte, sentenza eseguita il 25 gennaio 2010. Barack Obama, durante la sua presidenza, in un’intervista al New York Times, dichiarò che l’America sostenne Saddam Hussein, anche se sapeva del suo uso di armi chimiche ai danni degli iraniani e della popolazione curda.

fonte parstoday.com


“Turtles Can Fly” è stato il primo film girato e prodotto in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein. Il regista iraniano-curdo Bahman Ghobadi non esamina la guerra da una prospettiva ovvia, con slogan o frasi inneggianti alla pace. Utilizzando come attori i bambini che trova nei pressi del set, fornisce una rappresentazione cruda della guerra attraverso il punto di vista dei bambini. Il dolore non viene risparmiato allo spettatore così come non viene tralasciata la scarsa sensibilità di questi giovani orfani che sono nati e cresciuti all’ombra di un conflitto che li ha resi uomini dal loro primo respiro. Le difficoltà che questi bambini hanno affrontato sono orribili e Ghobadi non li addolcisce né li sensazionalizza, il che rende "Turtles Can Fly" ancora più doloroso da guardare. È un film straziante e la crudeltà a volte sembra non essere solo il suo soggetto, ma il suo metodo. La maschera antigas donata da Satellite ad Agrin come pegno d’amore è il simbolo di questo nonsenso chiamato ‘’guerra’’, così come la scena ricorrente di Agrin sul bordo del precipizio mostra come il film si avvicina al limite della disperazione e si ferma lì, in attesa di vedere cosa succederà dopo.

Ghobadi ha dedicato Turtles Can Fly a "tutti i bambini innocenti del mondo - le vittime delle politiche di dittatori e fascisti". In un'intervista ha spiegato: ‘’Non avevo una sceneggiatura. Ne avevo scritto solo il 20%. Sono andato lì sapendo che dovevo girare rapidamente un film nella situazione che esisteva in Iraq all'epoca. In due, due mesi e mezzo, con cinque macchine e cinque persone me compreso, ognuna di noi aveva una piccola videocamera, perquisimmo tutta l'area nord-orientale dell'Iraq. Diverse città e villaggi, e le strade, sia per trovare attori e luoghi che per completare la sceneggiatura ... Lungo la strada ho visto migliaia di bambini e ognuno era migliore dell'altro. Ho avuto così tante scelte. Ho appena scelto questi. Erano tutti di talento. Erano tutti fantastici. Se avessi voluto un bambino senza mani, in quella regione di confine avrei potuto trovare un migliaio di bambini che avevano perso mani e piedi camminando nelle miniere ... Era sia facile che difficile, ma alla fine, quello che voglio dirti è che mi è piaciuto moltissimo l'intero processo di realizzazione di questo film, soprattutto per trovare gli attori.’’

Il regista curdo-iraniano Bahman Ghobadi
Il regista curdo-iraniano Bahman Ghobadi

Per quanto riguarda il carattere politico del film, Roger Ebert, vincitore del Premio Pulitzer per la critica cinematografica nel 1975, ha affermato: ‘’Supponi che il film sia un attacco liberale alle politiche di George W. Bush. Non lo è affatto. L'azione si svolge poco prima dell'inizio dell'invasione americana e i personaggi in essa attendono l'invasione e la caduta di Saddam Hussein. Il film non tradisce in nessun modo un'opinione sulla guerra. Riguarda la vita reale dei rifugiati, a cui manca il lusso delle opinioni perché sono preoccupati di rimanere in vita in un mondo che non ha posto per loro.’’ Il critico cinematografico Michael Howard di The Guardian, ha scritto che Turtles Can Fly è "un film contro la guerra senza slogan". Questa è la caratteristica che rende Turtles Can Fly un film speciale. È un racconto che cerca di declinare lo strazio e il dolore attraverso lo sguardo sincero e impietoso, ma al contempo ironico dei bambini. È un film necessario, anche se non facile da vedere. Per troppo tempo la parola ‘’guerra’’ è passata nelle nostre orecchie senza mai fermarsi nella testa e nel cuore. Ghobadi attraverso gli occhi, ci cattura e ci costringe a guardare questa parola. Ma non è tutto perduto. Anche nel profondo oblio del dolore il regista curdo-iraniano ci ricorda che le tartarughe possono volare.

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