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Cappadocia, la terra delle ''mille chiese''

TURCHIA

Tempo di lettura stimato: 5 minuti

Nel territorio della Cappadocia sono state rinvenute circa 400 chiese (non mille come vuole la tradizione), costruite tra il IV e il XIII sec. d.C. La loro scoperta avvenne casualmente negli anni ’30, quando un prete francese di nome Guillaume de Jerphanion, che si trovava nella regione per compiere un pellegrinaggio in Terra Santa, scoprì alcune chiese nascoste all’intero dei camini di fata di Göreme. Tutte le chiese, costruite dai primi cristiani ortodossi, sopravvissero per una fortunata casualità all’islamizzazione dell’Anatolia: nessun edificio sacro era orientato verso sud-est, cioè verso la Mecca, e per questo le chiese costruite dai primi cristiani non furono mai trasformate in moschee.

I monasteri e le chiese della Cappadocia furono abitati dai monaci ortodossi fino al 1920, anno in cui Atatürk impose la laicizzazione della Nuova Turchia, inducendoli ad emigrare in Grecia per continuare a professare la propria fede con i rigidi canoni imposti dall’ortodossia. Dalla loro scoperta, le chiese e i monasteri sono stati ciclicamente restaurati e resi musei aperti al pubblico. Sugli affreschi delle pareti di questi piccoli, ma inestimabili tesori nascosti tra le rocce, si rincorrono storie di martiri e di Padri della Chiesa a cui la Cappadocia diede i natali. Tra i più noti vanno ricordati San Giorgio (280 circa - 303), San Gregorio di Nazianzo (329 - 390), San Basilio di Cesarea (330 - 379) e San Gregorio di Nissa (335 - 394).

Karanlık Kilise, Göreme Open Air Museum - Cappadocia
Karanlık Kilise, Göreme Open Air Museum - Cappadocia

Le piante delle chiese rupestri della Cappadocia rispettano sia la tradizione architettonica paleocristiana e bizantina con strutture a croce latina immissa (il transetto è a circa 2/3 del corpo longitudinale) o commissa (il transetto precede direttamente l’abside), sia la tradizione ortodossa con piante a croce greca (la navata e il transetto hanno la stessa lunghezza e si intersecano a metà della loro lunghezza). Molto spesso all’interno delle chiese si trovano delle vere e proprie necropoli. Durante la costruzione degli edifici religiosi, veniva riservata una zona per la sepoltura del finanziatore della chiesa e dei monaci che vi pregavano. Questo spazio poteva essere costituito da una nicchia ad arco (arcosolio) costruita nel muro o direttamente nel pavimento, all’entrata della chiesa. Se le dimensioni non lo permettevano, veniva edificata una para-ecclesia, ovvero una piccola cappella funeraria laterale. Per garantire a tutti i monaci un’adeguata sepoltura, avveniva una ciclica riesumazione a cui seguiva lo spostamento delle ossa in un ossario.

Zelve Open Air Museum
Zelve Open Air Museum

La bellezza e la fama delle chiese rupestri della Cappadocia sono dovute, in gran parte, alla presenza di meravigliose pitture. Ogni chiesa ha un suo stile, dovuto al diverso livello di abilità degli artisti-pittori. Le chiese più note, come quelle presenti all’interno del museo all’aperto di Göreme, furono dipinte da artisti provenienti da tutta la Turchia, mentre gli edifici che presentano immagini non perfettamente configurate, furono realizzate dai monaci locali. Nonostante la presenza di piccoli difetti, anche le chiese meno famose, affascinano per il carattere più verosimile dei volti raffigurati (alcune chiese hanno addirittura più di duecento volti). Molto spesso i dipinti delle chiese della Cappadocia vengono definiti affreschi, ma tecnicamente non lo sono.

St. Jean Church, Gulsehir - Cappadocia
St. Jean Church, Gulsehir - Cappadocia

Nella tecnica dell’affresco, il colore, costituito da pigmenti inorganici, viene completamente inglobato nell’intonaco che, asciugando, si combina con l’anidride carbonica dell’aria, dando luogo al processo di “carbonatazione”. Le immagini delle chiese rupestri in Cappadocia non sono affreschi, ma pitture a secco, cioè realizzate su intonaco già asciutto. Se da un lato gli affreschi hanno una maggiore durata nel tempo, dall’altra non permettono di apportare correzioni o ritocchi ai lavori e non consentono di poter utilizzare pigmenti essiccati di origine vegetale. Per i vari colori, gli artisti hanno utilizzato materiali naturali, come la calce per il bianco, il minerale di ferro per il rosso, il carbone o le zanne di animali per il nero e l'azzurrite o il lapislazzuli per il blu. Queste polveri colorate venivano solitamente mescolate con calce ed acqua per creare una vernice. A volte, proteine naturali come l'albume o il latte erano utilizzate al posto della calce per legare i pigmenti naturali alla parete in gesso.

Pancarlık Kilisesi, Ürgüp
Pancarlık Kilisesi, Ürgüp

Le pitture murali rappresentano scene bibliche in cui spiccano le icone, ovvero delle narrazioni visive della fede incarnata. Per facilitare la comprensione delle agiografie, lo stile pittorico seguiva un canone ben preciso. I santi sono raffigurati frontalmente e stabili, per distinguerli dagli esseri satanici, rappresentati di profilo e in movimento. Ogni personaggio era raffigurato sempre con le stesse caratteristiche fisiche per permettere agli analfabeti, che non potevano leggerne il nome, di identificarli. Anche la spaziatura della chiesa doveva riflettere l’ordine cosmico e risultare di immediata comprensione. Il soffitto rappresenta il paradiso, la parte superiore delle pareti la Terra Santa, mentre la porzione inferiore è riservata alle imprese dei santi e dei martiri.

Nella zona del paradiso si trovano la raffigurazione di Cristo e degli angeli serafini ("sei ali") o tetramorfi ("forme a quattro teste"). Nella parte della Terra Santa si vedono gli Arcangeli, gli apostoli e i profeti dell’Antico Testamento. Nella porzione inferiore vengono raffigurati i martiri, i santi militari e infine, vicino alla pavimentazione, i finanziatori della costruzione della chiesa. Queste sono le caratteristiche delle chiese realizzate tra il IV-VII secolo e tra il IX-XIII secolo. Nell’VIII secolo vi fu un breve periodo iconoclasta, ovvero una fase in cui il clero bizantino era contrario al culto delle icone. Anche se i monaci della Cappadocia non aderirono a questo movimento, esistono alcuni rari casi di edifici risalenti al periodo iconoclastico. Le chiese di quel tempo sono facilmente distinguibili per la mancanza di pitture e ornamenti. Molti studiosi ritengono, tuttavia, che le chiese prive di immagini e decorate unicamente con il pigmento rosso, siano semplicemente rimaste incompiute.

Church of St. Barbara, Göreme Open Air Museum - Cappadocia (foto cappadociahistory)
Church of St. Barbara, Göreme Open Air Museum - Cappadocia (foto cappadociahistory)

Le pareti delle chiese della Cappadocia, oltre ad ospitare bellissime pitture a secco, sono ricche di iscrizioni e pittogrammi, solitamente realizzati con vernice bianca su fondo scuro, anche se non mancano casi di incisione diretta sulla roccia. Tutte le iscrizioni riportano, come un’etichetta identificativa, il nome dei personaggi raffigurati, scritto in verticale sul lato destro del volto. L’alfabeto utilizzato è sempre il maiuscolo greco, la lingua della chiesa all’epoca dell’impero bizantino. Il fatto che anche figure facilmente identificabili come Cristo e Maria siano etichettate, suggerisce che le parole hanno non solo uno scopo identificativo, ma funzioni simboliche aggiuntive.

Göreme Open Air Museum - Cappadocia
Göreme Open Air Museum - Cappadocia

Oltre che per una finalità apotropaica, la scrittura e la conseguente pronuncia di nomi santi, ha soddisfatto l'intento degli artisti di promuovere l'adorazione e le preghiere perpetue. Tuttavia, una parte della popolazione era analfabeta. Da qui l’utilizzo, affiancato alla scrittura, di un sistema di pittogrammi convenzionale per facilitare la comprensione. Il più comune simbolo è , ovvero la lettera "A" di agios (santo in greco) disegnata all'interno di un cerchio, per far comprendere che si trattava della figura di un santo. Poi CXC per Gesù Cristo (greco, Iesous Xristos), MP ϴY per Maria (greco, Metera Theous), R per i profeti e IAP per gli arcangeli.

Ⓐ, ovvero la lettera "A" di agios, santo in greco (foto cappadociahistory)
Ⓐ, ovvero la lettera "A" di agios, santo in greco (foto cappadociahistory)

Nelle chiese rupestri, le croci appaiono in molte forme e contesti. Fino al 200 d.C. le croci non venivano palesemente raffigurate per evitare la persecuzione da parte dei funzionari romani e veniva utilizzato l’escamotage di raffigurare santi che riproducevano con i gesti delle mani la forma T, ovvero una croce stilizzata. Nelle chiese edificate dopo l’Editto di Milano, si trovano tre principali tipi di croce: la croce latina † , la croce greca ✚ e la croce maltese .

Croci maltesi sulla facciata della Karanlık Kilise, Göreme Open Air Museum - Cappadocia
Croci maltesi sulla facciata della Karanlık Kilise, Göreme Open Air Museum - Cappadocia

Il governo turco ha iniziato a restaurare i dipinti delle chiese rupestri negli anni '80. Le cicliche campagne di restauro, tutte coordinate e promosse dal Museo archeologico di Nevşehir, hanno l’obiettivo di preservare la storia e aprire nuovi siti al pubblico. Il lavoro dei restauratori consiste nel pulire le immagini dalla fuliggine nera, causata dai fumi delle candele o dai fuochi dei monaci, e dagli escrementi dei piccioni. 

Lavori di restauro all'Açık Hava Müzesi, Göreme
Lavori di restauro all'Açık Hava Müzesi, Göreme

Per la pulizia, i restauratori strofinano delicatamente le pareti con acqua e bicarbonato di sodio per scoprire il dipinto originale. Il secondo passo è la colorazione manuale di macchie e graffi bianchi, tramite l’utilizzo di piccoli pennelli intinti in pigmenti simili a quelli originali, sia per colorazione che per composizione.

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