CORSO DEL FIUME KIZILIRMAK - TURCHIA
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All'inizio del II millennio a.C. l’Anatolia era abitata dagli Hatti, un popolo autoctono la cui lingua è lontanamente imparentata con alcuni dialetti caucasici occidentali. Questa civiltà controllava la Terra degi Hatti, ovvero l’area all’interno dell’ansa dello Halys, il più lungo fiume della Turchia, chiamato dagli Ittiti Marassantiya o Marassanta, attualmente noto come Kızılırmak. I loro regni principali erano Ḫattuša, la futura capitale degli Ittiti (l'odierna Boghazköy), e Zalpa sul Mar Nero. A sud-est si trovava il regno prevalentemente ittita di Kanesh (in turco Kaniš), chiamato precedentemente dagli Hatti con il nome di Neša. A metà del XVIII secolo a.C. Anitta, re di Neša, conquistò con una vasta campagna l'intera Terra degli Hatti, così come altre parti dell'Anatolia centrale, fondando il primo impero ittita, che durò, con alti e bassi, per più di 500 anni.

Questa conquista è stata brevemente narrata dal re nel celebre Proclama di Anitta, o Iscrizione di Anitta, che è attualmente considerato il più antico testo in lingua ittita e anche il primo esempio in assoluto di una lingua indoeuropea. L’incontro tra Hatti e Ittiti ha prodotto una straordinaria fusione tra due culture completamente diverse. Gli ittiti dominanti adottarono i beni culturali dei loro predecessori, specialmente negli ambiti inerenti alla religione e alla mitologia. Uno dei primi miti della letteratura ittita è la leggenda della "Regina di Kanesh, i suoi trenta figli e trenta figlie". La storia è ambientata prima della conquista dell'Anatolia centrale da parte di Anitta, ma il testo fu effettivamente scritto a metà del XVII secolo a.C.

La leggenda, che fu in un primo momento affidata alla tradizione orale, fu messa per iscritto nel XVII secolo a.C. in lingua ittita. La migliore traduzione del testo in inglese è stata fornita nel 2004 dal professor Watkins. La leggenda narra che la regina di Kaniš diede alla luce trenta figli maschi, tutti in una volta. Sconvolta per aver partorito un tale numero di bambini, li mise all’interno di cestini e li abbandonò nel fiume Halys. I canestri viaggiarono a valle fino a raggiungere il mare, nella terra di Zalpa. Gli dei, impietositi dai lamenti dei neonati, li salvarono dalle acque e li allevarono. Nel frattempo, nel regno di Kaniš, la regina partorì nuovamente: diede alla luce in una sola volta trenta figlie femmine e, memore dell’abbandono dei suoi primogeniti, decise di tenerle e allevarle lei stessa. Quando i trenta figli maschi, raggiunta l'età adulta, tornarono a Kaniš, la madre non li riconobbe ed organizzò il loro matrimonio con le sue trenta figlie.

Il testo diventa molto frammentario a questo punto, a causa dei danni subiti dalla tavoletta. Quando la narrazione torna ad essere scorrevole, lo stile ed il contenuto non sono più fantasiosi, ma storici. Dopo aver narrato la storia della città di Zalpa (il suo sito non è ancora stato scoperto, ma secondo le mappe dell’epoca dovrebbe trovarsi sul Mar Nero tra le città di Sinope e Trebisonda), si passa a parlare del tema dell’incesto, fortemente condannato dagli Hatti, così come qualsiasi altro tipo di unione tra cugini o parenti prossimi. Nel codice penale ittita, infatti, l’incesto e le unioni tra membri della stessa famiglia erano severamente punibili, come confermato dal trattato tra il re ittita Šuppiluliuma I e Huqqana, il sovrano della tribù dei Kaska. Secondo gli storici, questo mito serve a mostrare alle tribù anatoliche prive di un codice comportamentale civile, gli effetti devastanti dell’unione tra consanguinei. Secondo il mito, la caduta di Zalpa (e forse anche di Kaniš) fu causata proprio dall’origine incestuosa e corrotta della sua stirpe, mentre l’ascesa di Ḫattuša come capitale dell’impero fu possibile grazie alla purezza di azioni e di pensiero della sua gente.

Questo mito, che presenta molte somiglianze con le storie di Mosè e Sargon di Akkad, ha ispirato la letteratura posteriore, come ad esempio il Ṛgveda, il più antico testo letterario dell’India e di tutto il mondo ario, e il mito delle Danaidi, le cinquanta figlie di Danao, re di Libia, protagoniste di mitologiche vicende da cui sarebbe derivata l'origine del popolo dei Danai, cioè i Greci. In tutti questi miti viene rappresentano "il peccato e la sua punizione" come una giustificazione eziologica alla sconfitta di un popolo e all’inizio di una nuova dominazione.
Fonti: Treccani - scholar.lib.vt.edu - jstor.org - whc.unesco.org
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