IL CIBO: LA CULTURA PIÙ ANTICA DEL MONDO

Mangiare. Un’azione quotidiana, essenziale. Un’azione che sta diventando sempre più impulsiva, rapida, scontata. Non è un caso. Da sempre il cibo è lo specchio della società. Mangiare, magari in piedi e in compagnia dello smartphone, riflette il rischio che stiamo correndo di guardare al cibo come mero mezzo di sostentamento. Ma siamo sicuri che sia solo questo? Mangiare è solo un bisogno fisiologico o è un elemento di identità e di scambio culturale? Per rispondere a questa domanda dobbiamo tornare indietro nel tempo fino al Paleolitico, quando l’uomo iniziò a controllare il fuoco. La manipolazione della natura e quindi la cottura del cibo sono, come dice Levi Strauss, “l’invenzione che ha reso umani gli umani’’. La cottura del cibo implica, infatti, un passaggio a un tempo culturale e sociale. Per sua natura il cibo è un elemento transculturale che racchiude un significato simbolico e relazionale, che va oltre il valore nutritivo. L’uomo, pur essendo onnivoro, non si nutre degli stessi cibi in tutte le culture. Ogni popolo ha un codice alimentare definito da fattori come ad esempio il clima, la storia, la religione, che privilegia determinati alimenti e ne vieta altri. Di conseguenza, escludendo le situazioni dove, a causa della povertà, il cibo consiste solo in un bisogno fisiologico, ai giorni nostri l’alimentazione è diventata uno dei principali elementi che determinano l’identità̀ culturale di ognuno di noi e che permette la trasmissione e lo scambio di cultura. Ma quando mangiamo siamo consapevoli del potenziale del cibo? Ne riconosciamo il suo valore? Perché davanti a cibi nuovi, anziché essere stimolati, assumiamo un atteggiamento di ritrosia? Per rispondere a queste domande e per comprendere più in profondità il valore del cibo come espressione di transculturalità, converseremo con il pluripremiato chef Faruk Neziri, un uomo che ha messo la sua passione e il suo talento al servizio di un’importante missione: acculturare, prendendo per la gola.

Foto ilgelsonero.it
Foto ilgelsonero.it

I successi di Chef Neziri

AWARDS 2012

“Il miglior antipasto di pesce alle Nocciole Igp d’Italia”;

AWARDS 2013

The Best Chef Awards: gli viene assegnato il Premio Internazionale come “Talento italiano nel mondo”;

AWARDS 2014/15

sono stati dedicati diversi documentari, programmi televisivi e molti riconoscimenti nel suo paese d’origine (Macedonia);

AWARDS 2018

Il 29 Ottobre 2018 “La Perla Graz” viene proclamato uno dei 100 migliori ristoranti Italiani nel mondo;

AWARDS 2019

Presidente della camera dei deputati della repubblica Macedonia, Talat Xhaferi, onora lo Chef Faruk Neziri con un riconoscimento ufficiale che non è mai stato conferito prima ad uno chef.

Lo Chef riceve inoltre un awards come “Ambasciatore della cucina Italiana in Europa”;

AWARDS 2020

Mrs. Simona Ristevska, autrice del libro “La via del successo” intervista lo Chef Faruk Neziri e lo inserisce tra i 39 uomini originari dalla Repubblica Nord Macedonia che hanno avuto successo in tutto il mondo.


Vorrei partire dal suo nome: Faruk. Un nome che ci porta verso est in territori dal tessuto etnico e religioso molto complesso e variegato. Dov’è nato e come si è sviluppata la sua passione per l’arte culinaria?

Sono nato a Bihać, una città nella parte nordoccidentale della Bosnia ed Erzegovina. Poi avvenne il trasferimento in Macedonia e altri viaggi un po’ per fortuna, un po’ per sfortuna. Successivamente iniziai a studiare a Belgrado e feci diversi stage in Croazia, a Vienna e in Svizzera, fino a Roma. Non saprei dire esattamente di dove sono perché sono cittadino italiano, i miei figli sono nati a Roma. Vivo in Italia da trent’anni e non c’è un altro paese che potrebbe rappresentarmi meglio. L’Italia mi ha dato tanto, a partire dai miei primi passi nel mondo della cucina, fino all’amore. Nel 2004 decisi di spostarmi da Roma e di venire al nord, ad Asola, in provincia di Mantova. Lì creai una società ed aprii insieme ai miei soci La Chiusa. Dopo un percorso molto importante di due anni, mi trasferii nuovamente per far nascere una nuova realtà, La Filanda, che è tutt’oggi operativa. Ho continuato a fare lo chef per dieci anni fino al 2006, anno in cui decisi di mollare tutto per partire alla volta dell’Austria. Nel 2015 fondai una società all’estero che si occupa dell’organizzazione di gala importanti, a cui hanno partecipato celebrità e capi di Stato. Nel 2016 ho aperto La Perla Graz, un bellissimo ed importante ristorante nel cuore della seconda città dell’Austria, Graz. I risultati furono eccellenti: in quasi tre anni raggiungemmo i nostri obiettivi imprenditoriali. Il 28 ottobre del 2018 fu proclamato uno dei cento migliori ristoranti italiani del mondo. In seguito, a causa di alcuni eventi spiacevoli, radunai il mio staff – il 70% mi aveva seguito dall’Italia – e lo misi al corrente della mia decisione di andarmene. Poi avvenne l’incontro con Bruno Bompieri, noto imprenditore mantovano, che mi propose una nuova avventura a Castellucchio, sempre in provincia di Mantova. Così, il 6 ottobre 2019 sono partite quattro attività nella stessa struttura: Castellucchio Hotel, Bar Dolce Vita, il ristorante Il Gelso Nero e una pizzeria gourmet con 150 etichette di vini differenti. Abbiamo voluto differenziarci, o meglio, noi siamo così.

Quanto ha influito sulla sua vita di uomo e di chef l’essere nato in terre culturalmente molto stimolanti, ma sempre al centro di scontri, di migrazioni e di tentativi di annullamento dell’identità delle minoranze? 

Influisce molto, ma lo capisci crescendo. Da giovane non riesci a rendertene conto, ma quando crei una famiglia, rifletti e ci pensi. Cominci a valorizzare il tuo passato a partire dal primo piatto che ti ha preparato la nonna. Tutti quei profumi rimangono nella tua banca dati e li porti con te lungo il percorso di vita. Adesso fortunatamente la situazione nei Balcani si è stabilizzata. Questo mi ha dato la possibilità di creare piatti per diversi capi di Stato di quei paesi. Attraverso i miei canali, ho valorizzato le loro materie prime poiché credo che questo sia il modo giusto di rinascere.

Nella sua carriera ha sperimentato la cucina fusion, un tipo di cucina che combina elementi associati a differenti tradizioni culinarie. Quanto è importante il viaggio e lo scambio di culture per uno chef? 

Ho avuto la fortuna di viaggiare molto per lavoro e grazie a questo ho conosciuto diverse realtà, culture, teste e modi di ragionare. Sono arrivato ad una conclusione: il bello del mondo è che è fatto a colori. Noi siamo arrivati al punto in cui una parte della popolazione mondiale inizia a guardare in bianco e nero. Questo per varie ragioni. In primo luogo perché il martellamento di informazioni sembra quasi spingerci ad ucciderci tra di noi, come ad esempio è accaduto nel mio paese di provenienza, la Bosnia, dove si è arrivati ad un punto di drammaticità senza precedenti. In secondo luogo, queste informazioni ci spingono verso il caro dio denaro. Quest’ultimo ci annebbia talmente tanto da portarci alla perdita dei nostri valori. Non sappiamo più da dove siamo partiti. Non sappiamo più la nostra appartenenza. Chi erano i nostri nonni? Perché esistono i nonni? Tutto questo mi fa riflettere perché sono padre e voglio insegnare ai miei figli cosa è giusto e cosa è sbagliato. Quando parliamo di cultura io, avendo viaggiato, ho imparato il significato di rispetto perché ognuno ha qualcosa da raccontare. Un mondo a colori. Questo sarebbe il mondo giusto e io cerco di vedere a colori attraverso la mia cucina. Nel 2006 ho deciso di dedicarmi alla cucina fusion internazionale, dove le ricette si costruiscono proprio grazie all’apporto di culture differenti. Per esempio ho creato un risotto acquerello con pistilli di zafferano dell’Albania e plancton. Materie prime molto pregiate, provenienti da paesi molto diversi. Le ho personalizzate e sono arrivato ad una ricetta che non esiste da nessun’altra parte del mondo, è mia.

Dietro ad ogni ingrediente esiste una storia. Quanto sono importanti per uno chef le storie degli ingredienti e quanto studio richiede la costruzione di narrazioni gustative? 

Richiede molto studio perché le ricette non possono essere fatte solo per riempire il piatto. Se noi infatti andiamo a ragionare dal punto di vista organolettico e sensoriale, ci accorgiamo che ci vuole molta preparazione perché non tutte le materie prime sono in grado di sposarsi tra loro. Tuttavia, per ragionare in quest’ottica, è necessario aver viaggiato col corpo e con la mente, aver assaggiato, provato. Uno dei miei collaboratori che ha vent’anni potrà creare piatti semplici, ben fatti perché è intelligente e perché guidato dalla passione, ma non potrà mai creare piatti complessi perché non è stato acculturato dall’esperienza, dai viaggi, dall’incontro con nuovi sapori. Io ho assaggiato di tutto e di più e ho inviato queste informazioni alla mia banca dati a cui attingo per creare le mie ricette.

La ricostruzione della storia degli ingredienti, ci permette anche di ripercorrere la storia dell’uomo. Basti pensare alla transizione dal nomadismo alla sedentarietà o alle conseguenze nate dall’abbondanza o dalla scarsità di cibo. Crede che i ‘’consumatori’’ siano consapevoli del valore storico, sociale e culturale del cibo?

Non tutti siamo pronti proprio perché manca la cultura. A tanti piacciono i miei piatti perché visivamente belli. Io esco di persona a raccontarli. Spiego la loro storia, la loro genesi. Per fortuna c’è una buona percentuale di persone acculturate che riescono a comprenderle. Io sono stato fortunato, Coronavirus a parte, perché ho un pubblico molto allargato. Ad esempio ci sono persone che vengono da Milano, Vienna o Monaco di Baviera per assaggiare le mie ricette, dormono nel mio hotel e il giorno dopo rientrano. Questo è il risultato di un lungo e duro lavoro durato tutta la mia vita. La cucina è passione. La cucina è però anche tanto sforzo e impegno se si vogliono ottenere grandi risultati. La mia storia è iniziata principalmente nel 2012 con una ricetta che vinse il premio nazionale per “Il miglior antipasto di pesce alle Nocciole Igp d’Italia”, a cui seguì nel 2013 l’assegnazione del Premio Internazionale come “Talento italiano nel mondo” e il conferimento della cittadinanza italiana da parte dell’ex Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano. Tutto questo mi è servito per fare esperienza e per accumulare un bagaglio che mi permette di comunicare.

Tra la sfera percettiva e quella culturale esiste un legame molto stretto. Il cibo può essere visto come un ponte: da un lato verso la nostra territorialità, dall’altro verso nuove culture. Secondo lei perché molte persone rifiutano o hanno difficoltà ad assaggiare nuovi cibi? Da dove deriva questa paura? 

Manca la cultura. È inutile andare in India e cercare gli spaghetti. Se vado ad esempio in Stiria, cercherò lo Steirisches Kürbiskernöl, l’olio di semi di zucca che la rappresenta e che per i suoi abitanti è oro. Questa paura deriva dalla mancanza di cultura approfondita e dalla chiusura mentale. Il nutrimento è la cultura più antica del mondo. Noi dobbiamo ricordare che voi donne concepite un bambino che, già prima di nascere, si nutre attraverso il vostro corpo. Una volta avvenuto il parto, in automatico Madre Natura lo spinge ad andare a nutrirsi. È da lì che parte tutta la storia. Dopo arrivano le Piramidi. Perché io ho insegnato ai miei figli a mangiare pesce crudo, cotto, ecc…? Certo, qualche materia prima la rifiutano perché non incontra il loro gusto, ma non posso pretendere di andare ad Addis Abeba e volere a tutti i costi mangiare la pizza. Se lo faccio, vuol dire che non sono pronto a rispettare la cultura locale. È attraverso il cibo che si entra nella comunicazione. È dal cibo che si capisce con chi si ha a che fare. Dalla tavola e a tavola si scoprono grandi culture. Ad esempio, capita di vedere gente benestante in Occidente mangiare con la forchetta stretta in un pugno e con l’avambraccio a proteggere il piatto. Questa postura deriva dai tempi del regime sovietico durante il quale il popolo era affamato. Veniva loro data solo una zuppa di buccia di patate e mentre la mangiavano, si guardavano negli occhi e con la mano proteggevano il piatto come a dire ‘’questo è mio’’.  

Come si può fare a trasformare questa paura-chiusura in una grande occasione?

C’è un modo: li devi prendere per la gola. Prendiamo per esempio la pizza gourmet. Se scegli questa tipologia di piatto, non ti arriva in tavola una semplice pizza, ma una futura esplosione di sapori allo stato puro. Anche in quel caso vengo io personalmente ed elenco tutti gli ingredienti, dal salmone affumicato con tabacco toscano, fino alla bresaola fatta in casa. Ti faccio capire perché è speciale. Ti spiego perché ha fatto cento ore di lievitazione. Se io non sono in grado di spiegartelo, tu non sarai mai preso per la gola. 

Il segreto sono quindi le narrazioni create intorno al piatto?

Sì, esatto. Spiegando il piatto, si riesce a ‘’prendere’’ il consumatore. Il piatto emblema della mia cucina sono le chicche di patate fatte con una raffinata crema di scampi e caviale. Questa ricetta è nata nel ’94 nella città più bella del mondo, Roma. Ogni giovedì era consuetudine mangiare gli gnocchi. All’epoca lavoravo ancora con il mio ex professore, che dal ’99 ha iniziato a cucinare per la Camera dei Deputati, dove opera tutt’oggi. Ricordo che facevamo questi gnocchi grossolani, poco raffinati, al ragù o accompagnati da qualche altra salsa. Io ero molto bravo a fare la crema di scampi: mischiavo una salsa preparata con le teste degli scampi freschi con la polpa. Il mio maestro diceva che ero un talento e che avrei dovuto proseguire da solo per fare la mia cucina. Io obiettavo che ero ancora giovane e che non avevo ancora un’esperienza. Lui insisteva dicendo di continuare a fare, provare, rifare e ricominciare da capo. Così sono nati i miei gnocchi con la crema di scampi. Poi con il tempo li ho portati a delle piccole perline fatte al 100% di patate e leggero amido di mais, accompagnate da caviale con una leggera affumicatura all’origano essiccato. Quando le mangi si crea un’esplosione di sapore unica. Questo piatto non è mai fallito. Dal ’94, chiunque lo mangi, uomo, donna, anziano, giovane, bambino, dice ‘’wow’’. La forza di questo piatto è che regala emozioni a chi le mangia e, di conseguenza, a me. Una grande soddisfazione non soltanto dal punto di vista economico, ma per aver fatto un buon lavoro. Quando vai al tavolo e spieghi la storia del piatto in prima persona, stai acculturando chi lo sta per mangiare. Lo affascini. Quando lo assaggia, gli esplode in testa un meccanismo chiamato ‘’ti ho preso per la gola’’. 

Per concludere, viviamo in un momento di grave crisi e spaesamento. Il lato economico ci è ben noto. Crede che stiamo rischiando di perdere anche qualcos’altro?

Noi siamo arrivati al punto che i nostri figli mangiano mentre giocano al computer. Questo è gravissimo. Loro lasciano il nutrimento in secondo, terzo piano. Anche i genitori sbagliano. Parlano di borse, di scarpe, ecc.. e per fare stare zitto il figlio, gli mettono in mano un mezzo che li stacca da loro. È gravissimo. La tavola è un momento di scambio e di trasmissione. 

Se volete ‘’farvi prendere per la gola’’ e iniziare un viaggio tra cibo e arte, Chef Neziri vi aspetta al ristorante Il Gelso Nero. La prossima intervista sarà dedicata alla divulgazione della cultura. Incontreremo l’avv. Nanni Rossi, presidente dell’Associazione Culturale Postumia.  

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