Esistono paesi che durano tre secondi. Leggiamo il loro nome sui giornali. 1,2,3. Giriamo pagina distrattamente. Il giorno dopo rileggiamo quel nome. 1,2,3. Ci ricorda qualcosa. ‘’Ah sì, è quello di ieri’’. Ma chi era quello di ieri? Perché è sul giornale? ‘’Ovvio, per la guerra.’’ Dov’è il Tigray? Perché è in corso un conflitto? ‘’Beh perché è Etiopia’’. E quindi? ‘’Ma sì, l’Etiopia, quel paese africano dove muoiono di fame e dove ci sono sempre guerre’’. E la conversazione finisce. 1,2,3.
Oggi voglio contare almeno fino a 4. Voglio parlarvi dell’Etiopia, non il paese della guerra, ma della pace. Voglio parlarvi dell’Etiopia, non il paese della fame, ma della generosità. Voglio parlarvi dell’Etiopia, non quel paese africano, ma il paese africano delle origini.
Tutti ricordiamo sui nostri sussidiari le immagini di Lucy - Dinqnesh per gli etiopi, ovvero "sei meravigliosa" - e della Rift Valley, la culla della civiltà. Negli altopiani che la circondano, si trova il lago Tana, dimora di 37 isole-monastero, nonché la sorgente del Nilo Azzurro, che fornisce la maggior parte dell'acqua alla valle del fiume Nilo in Egitto. In due frasi millenni, anzi, milioni di anni di storia. E allora forse l’Etiopia non è solo ''quel paese africano dove c’è sempre la guerra e dove si muore di fame'', ma è soprattutto storia e cultura. Il nome stesso Etiopia, ‘’la terra dei popoli dalla faccia bruciata’’, fu dato dai greci, detentori della cultura nell’antichità. Eschilo e Omero la descrissero come terra lontana e favorita dagli dei per le sue bellezze. Le meraviglie tangibili dell’Etiopia sono molte. C’è la Gerusalemme etiopica, Lalibela, dove sorgono le undici chiese rupestri edificate da uomini e angeli. Axum, città delle stele e capitale dell’impero della regina di Saba dove, secondo la tradizione, nel giardino della Chiesa dedicata a Maria di Sion, si troverebbe l’arca dell’alleanza, portata in dono da Menelik I a sua madre, la regina, dopo aver visitato il padre Salomone a Gerusalemme. E poi c’è Gondar, la Camelot africana, definita dai visitatori antichi come ‘’più bella della casa di Salomone’’. E poi ancora Harar, la quarta città santa dell’Islam, sultanato indipendente e regno teocratico, centro nevralgico della via del commercio del caffè e della tratta degli schiavi. L’Etiopia è quindi terra di libertà di fede e di culto. Anche la natura con la depressione della Dancalia, un deserto che contiene il punto secco più basso della terra, i vulcani, le foreste, gli altopiani, i fiumi, le cascate e i laghi contribuisce a rendere unica l’Etiopia. Poi ci sono i patrimoni intangibili. 80 gruppi etnici, ognuno con la propria lingua e le proprie pratiche culturali. Yilugnta, riflesso dell’etica e della morale degli etiopi, gente generosa, altruista, ospitale e inclusiva. E poi c’è l’arte, la poesia, la musica e la danza, personificazioni di un paese orgoglioso, l’unico in Africa con la Liberia a non essere mai stato colonizzato. È innegabile che le carestie, il regime del Derg, il Terrore Rosso, le guerre con Somalia ed Eritrea e le attuali tensioni nel Tigray siano parte dell’Etiopia. Ma non va dimenticato che l’Etiopia è soprattutto cultura, pace e fede. È in questa Etiopia che noi andremo. Ad accompagnarci in questo viaggio sarà Melaku Belay, il ‘’terremoto ambulante’’ della musica etiope.
Melaku Belay è uno dei più virtuosi danzatori dell’Etiopia e leader del gruppo Ethiocolor, un rinomato ensemble che ha sede presso il club musicale di Fendika Azmari Bet, nel quartiere Kazanchis di Addis Abeba. È stato vincitore del premio Alliance Ethio-Francaise per l'eccellenza nella danza, nominato Chevalier dans l'Ordre des Arts et des Lettres dal Ministero della Cultura e delle Comunicazioni francese, designato dal DireTube Award per aver introdotto la musica etiope nel mondo, candidato per il premio Persona dell’anno in Etiopia 2018, vincitore del Visa for Music Award 2019, Prince Claus Laureate 2020 ed è riuscito anche ad ottenere una sovvenzione competitiva a livello mondiale dal Fondo internazionale per la promozione della cultura dell'UNESCO. Ma la vita in danza di Melaku non è stata semplice. Come apprenderemo dal suo racconto, a renderlo vincente sono stati innanzitutto l’amore per la sua gente e la profonda forza spirituale. Oggi Melaku non è solo il miglior ballerino dell’Etiopia, ma è anche ambasciatore culturale del suo popolo nel mondo. Con il Fendika Cultural Center, di cui è direttore, Melaku ha creato un crocevia di espressioni culturali tradizionali e contemporanee, dove artisti figurativi, poeti, musicisti e danzatori possono interagire, sperimentare e far conoscere la cultura etiope al mondo. Sono convinta che Melaku sia la persona migliore per accompagnarci in questo viaggio tra i colori dell’Etiopia. L’amore, la gentilezza, lo spirito di condivisione, il rispetto, l’unione… questi sono i valori che Melaku vuole portare avanti, gli stessi valori su cui si fonda l’Etiopia, terra di cultura e di spiritualità.
Melaku, ti andrebbe di raccontarci la tua storia?
Sono Melaku Belaly. Sono un ballerino. Ho iniziato a ballare nella pancia di mia madre. La vita quotidiana della mia società mi nutre di una ricca cultura. Quando avevo 3 anni, mia madre è andata in Sudan come rifugiata. Sono cresciuto ad Addis Abeba da mio cugino. Quando è morta, ho dovuto vivere per strada. Sono cresciuto ballando in occasioni di festa, come matrimoni, il Timkat e altri festival. La danza è la mia vita. 23 anni fa, ho iniziato a lavorare a Fendika come ballerino, guadagnando solo qualche mancia. Non c'era lo stipendio per ballerini e azmari - i poeti-musicisti dell’Etiopia, comparabili ai nostri menestrelli medievali. Vivendo ancora per strada, ho condiviso le mie mance con gli altri bambini che vivevano nella mia stessa condizione. Dopo un po', ho chiesto il permesso di dormire a Fendika. Ho dormito sotto il bar di Fendika per 7 anni. Mi guadagnavo da vivere impartendo lezioni private di ballo. Di notte, dopo il lavoro, continuavo a studiare per diplomarmi alla scuola superiore. Lavoravo tanto a Fendika. Un giorno, sono andato al Teatro Nazionale, al Teatro Ras, all'Hager Fikr per dare un servizio gratuito come ballerino, sperando di ottenere un lavoro professionale in uno di quei teatri. Ma quando sono andato all'audizione, non mi hanno mai scelto perché avevo il mio stile personale. Per loro, non ero abbastanza moderno. Ero troppo tradizionale. L'ironia è che, 12 anni dopo, mi hanno invitato a fare il giudice alle loro competizioni. Quando ho iniziato a dirigere Fendika nel 2008, ho iniziato a dare stipendi a ballerini ed azmari. Questa è stata la prima volta ad Addis Abeba. Ho anche iniziato a comporre musica e coreografie con Ethiocolor, un gruppo che ho creato nel 2009. Il mio amore per la musica viene dalle persone, dalla cultura.
Il Timkat - in amarico, ጥምቀት- è l’Epifania copta che si celebra in Etiopia ogni 19 Gennaio per commemorare il battesimo di Gesù (nel 2019 è stato inserito nella lista dei patrimoni culturali immateriali dell'umanità). Durante le cerimonie, che durano tre giorni se si include la Keterà (la vigilia del Timkat), viene portato in processione il Tabot, un modello dell’Arca dell’Allenza presente in ogni chiesa etiope. Sacerdoti e fedeli avvolti nella tradizionale netela (una lunga sciarpa bianca di cotone), si dirigono verso piscine o corsi d’acqua che vengono benedetti. A seguito dell’aspersione dei fedeli, il Tabot viene ricondotto all’interno delle chiese, dove resta fino all’Epifania successiva. Come in occasione del Natale (Ginna) e della Pasqua (Fasika) copte, le strade delle città e dei villaggi si riempiono di musica, danze e colori. Il maggiore centro di questa sentita celebrazione religiosa è l’antica Roha, odierna Lalibela. Il fascino senza tempo di questa città santa è dato dalla presenza di 11 chiese scavate a mano in unico blocco roccioso. Sia la costruzione di questi edifici, sia il nome di colui che ribattezzò la città, sono protagonisti di antiche leggende. Secondo la tradizione, alla nascita del futuro imperatore di Roha, uno sciame di api circondò il suo corpo senza lasciare alcun segno. Allora la regina madre decise di chiamarlo Lalibela, che significa “le api riconoscono la sua sovranità”. Suo fratello maggiore, preso da gelosia e invidia, ordinò di avvelenare Lalibela. Il giovane principe sprofondò in un sonno mortale e fu portato da alcuni angeli in cielo, dove vide strane costruzioni, le future chiese rupestri di Lalibela. Dio gli disse che se avesse edificato queste chiese, lo avrebbe riportato in vita. Lalibela accettò. Quando divenne imperatore, ordinò l’edificazione delle chiese. Sempre secondo la leggenda, questi edifici furono costruiti in soli 24 anni grazie allo sforzo congiunto di uomini che lavoravano durante il giorno e di angeli che continuavano l’opera umana di notte. Ancora oggi, più di otto secoli dopo, le chiese di Lalibela sono tra i gioielli più belli dell’Etiopia, oltre ad essere luoghi ideali per sentire la sacralità del Timkat.
In Occidente, l'Etiopia è conosciuta solo per la povertà e per le guerre. In realtà è molto altro… Qual è secondo te il vero volto dell’Etiopia?
Per me, l'Etiopia non è solo culla dell'umanità, ma detiene anche il seme per un futuro di pace. La gente, ascoltando i media, sa solo della fame e della guerra. Quello che non vedono è la spiritualità e la sacralità del luogo. Amo il mio paese, amo l'Etiopia, non per cose materiali. Sono felice di essere nato qui e mi accontenterò di morire qui. I nostri rituali di preghiera e di meditazione ci aiutano a sopravvivere a tutto. Desidero che il mondo capisca cosa provo per il mio paese. Abbiamo molto da condividere e da dare. È vero che non abbiamo cibo a sufficienza. Ma abbiamo una ricca spiritualità e una profonda connessione con l'umanità. Siamo pronti a dare agli altri, anche se non ne abbiamo abbastanza per noi stessi. Diamo amore senza aspettative di ritorno.
Che ruolo ha in questo la danza?
Io sono nato con la danza. La danza mi aiuta a sentire la ricchezza del nostro spirito. La danza è la mia lingua. Quando ballo non ho bisogno di parlare un'altra lingua. Mi connetto facilmente con gli esseri umani attraverso il linguaggio del corpo. La danza ci aiuta a comunicare la nostra cultura e a facilitare le connessioni umane.
Quali sono i temi più ricorrenti e i balli più popolari?
La maggior parte delle persone direbbe che l'eskista è il ballo più popolare. Ma non sono d'accordo con questo. Ci sono molti altri tipi di balli in Etiopia. Per me, tutti i balli sono ugualmente sorprendenti e potenti: Wolayita, Afar, Guragegna, Oromegna, Tigregna, Kunama, sono tutti fantastici.
A differenza della nostra concezione di danza e di musica come due mondi complementari, nella cultura etiope esse sono fortemente connesse e l'una non è separabile dall'altra. In tutta l'Africa la danza-musica costituisce una parte fondamentale della cultura e dell'autoespressione. L'eskista, letteralmente ‘’spalle danzanti’’, è una danza tradizionale etiope, originaria della regione dell'Amhara, eseguita da uomini e donne di solito in gruppo. La danza prevede il rotolamento delle scapole, il rimbalzo delle spalle e il jilt del petto. Viene tipicamente eseguita sulla musica tradizionale etiope, che è prodotta con strumenti tradizionali come il krar (una lira a sei corde), il washint (flauto), il masinqo (un liuto ad arco a una corda), il negarit e l’atamo (due tipi di tamburo). I ballerini indossano il gabi, un tessuto di cotone lavorato a mano e dipinto con vari colori.
Grazie alla tua determinazione e al tuo amore, hai portato ad Addis Abeba artisti di diverse etnie. Credi che la musica - e la cultura in generale - possano essere un'arma di coesione e di uguaglianza sociale?
Sì, credo che la musica e la danza ci uniscano. Credo che siano l'unica soluzione ai nostri problemi. Ci uniscono come esseri umani uguali. Nonostante tutti i problemi che abbiamo - povertà, razzismo, disuguaglianza di genere, politica - se ci poniamo con onestà e ci esprimiamo senza ego, nella musica siamo uguali. Lo spirito di condivisione e d’apprendimento ci aiutano. Sento questo spirito particolarmente forte durante la celebrazione del Timkat. Da 7 anni porto musicisti di diversi gruppi etnici a partecipare al Timkat ed è una sensazione incredibile. Gruppi che di solito sono esclusi ed emarginati nella società - le donne Gamo, ad esempio - hanno una musica meravigliosa da offrire e rendono Timkat un'esperienza ancora più ricca per tutti.
I progetti del Centro Culturale Fendika coinvolgono altre forme di cultura, come la poesia e le arti visive. Nelle precedenti interviste abbiamo visto che purtroppo in molti Paesi esistono ancora forme di censura. Gli artisti in Etiopia godono della libertà di espressione?
Prima dell'attuale governo, c'erano controlli più severi. La poesia amarica, tuttavia, utilizza il metodo della cera e dell'oro che può eludere la censura. L'attuale governo consente più libertà, ma offre pochissimo sostegno agli artisti.
Cosa vuol dire ‘’cera e oro’’? Melaku fa riferimento al Qene, una tradizionale forma poetica etiope costruita su due strati semantici. In altre parole, si utilizza una frase che ha un senso apparente, ma che in realtà sottintende un altro significato. L'analogia con la cera e l'oro, deriva dall'arte dell'orafo. Egli crea una prima immagine con la cera, poi la ricopre con argilla o gesso. Quando l’oro fuso viene versato nella forma, la cera si scioglie, lasciando l'oro con l'immagine desiderata. Allo stesso modo, la tradizione poetico-artistica etiope gioca a doppio strato con le parole. Mentre il significato apparente e in superficie è noto come Sem (cera), il significato vero sottostante, è noto come Werq (oro). Secondo diversi studi, la tradizione della cera e dell’oro risalirebbe ad oltre 1500 anni fa (la prima attestazione scritta viene fatta risalire a Saint Yared, un chierico axumita vissuto nel V sec. d.C.) e si sarebbe diffusa grazie ai monaci del Lago Tana. Queste acque sacre da cui nasce il Nilo Azzurro, sono ancora oggi dimora di 37 isole che ospitano eremi e monasteri.
Riuscire ad avere una visione completa del grande mosaico etnico dell’Etiopia è quasi impossibile: ben 80 gruppi etnici in un unico paese, tutti con pratiche culturali proprie. Come sono i rapporti tra i vari gruppi etnici? Si sentono parte di un'unità nazionale? La politica favorisce il dialogo e il senso di unione?
Per me, la celebrazione di Timket è un esempio di come persone di diversi gruppi etnici e religiosi vivono e celebrano la vita insieme. Sono i politici che cercano di dividerci. Nella vita di tutti i giorni non siamo separati. È comune vedere persone che si sposano nonostante le differenze etniche o religiose. Noi siamo uno. Siamo insieme.
Nel 1998 è scoppiato ufficialmente il conflitto tra Eritrea ed Etiopia. Questa guerra creò confini dove in precedenza esistevano ponti. Tuttavia, eritrei ed etiopi sono storicamente e culturalmente interconnessi. In molti studi, si parla di habesha, ovvero un’identità culturale pan-etnica. È corretto l’uso di questo termine?
Le culture etiope ed eritrea non sono molto diverse. Ci sono così tante connessioni familiari tra le due nazioni. Quando è stata fatta la pace tra i due paesi, le famiglie si sono riunite dopo anni di separazione. Non uso molto la parola "habesha". Uso la parola etiope. Habesha si riferisce più alle persone del nord. Esclude molti gruppi nella parte meridionale del paese.
L'Etiopia e l'Italia hanno un rito in comune: il caffè. Quali sono i rituali associati a questa bevanda "sacra"?
In Etiopia usiamo il caffè come mezzo di meditazione. La cerimonia del caffè è molto importante in Etiopia. Tostiamo e maciniamo il caffè a mano. Una vera cerimonia del caffè richiede due ore. E se sei invitato, devi restare e goderti il momento. È un'opportunità per condividere la tua vita con gli amici, che tu sia triste o felice. Ecco perché diciamo che la cerimonia del caffè è la nostra terapia psichiatrica.
Un proverbio beduino recita: ‘’Quando arriva un ospite, è un principe. Quando si siede, è un prigioniero. Quando se ne va, è un poeta’’. E in effetti il caffè non è una semplice drink, ma è sinonimo di ospitalità e convivialità. Se in tutto il mondo Italia, paesi arabi e Turchia sono noti per il caffè, in pochi sanno che è originario dell’Etiopia. Secondo un’antica leggenda della Penisola Arabica, l’arbusto da cui si ricava il caffè arabica fu scoperto casualmente da un pastore etiope nel IX secolo. Mentre pascolava le sue greggi, notò che gli animali che avevano masticato i frutti della pianta erano molto attivi. Così decise di sperimentarli personalmente e scoprì che potevano essere utilizzati per preparare una bevanda energizzante. Dopo 1200 anni quel chicco trovato per caso è ancora parte integrante della vita sociale dell’Etiopia. Come spiegava Melaku, il rito del caffè può durare due ore. Proprio come avviene nei paesi della Penisola Arabica, si fanno più giri. Il primo round, awol, viene servito iniziando dal più anziano. Quando la prima tazza è finita, la jebena (caffettiera) viene riempita d'acqua e si procede al tona, un secondo round più leggero e, infine, al baraka, l’ultima tazza servita. Esiste solo una regola: non avere fretta! Se volete scoprire altre curiosità legate al rito del caffè nei paesi arabi e in Turchia, potete leggere il mio articolo ‘’Qahwa: l’arte del caffè arabo’’.
A proposito di condivisione e di rispetto… mi ha molto colpita il sistema di valori riassunti nel termine Yilugnta. Cosa significa?
Yilugnta è una parte importante della sensibilità etiope e dell'etica dell'essere. Implica considerazione dei bisogni, degli interessi e della dignità degli altri. Ci incoraggia a pensare prima alle nostre famiglie e agli altri. Ad esempio, anche se ho fame, offrirò il mio cibo agli altri che sono presenti. È un'intesa implicita condivisa dalla maggior parte degli etiopi. Ci viene insegnato a essere gentili, generosi, umili e premurosi.
Un’altra caratteristica che contraddistingue l’Etiopia è la fede cristiana. I suoi effetti sono riscontrabili anche nella musica, oltre che nella cultura?
Il cristianesimo è intrecciato con molti aspetti della cultura etiope, in particolare la lingua e la musica amarica. Rimane molto vibrante. La maggior parte delle persone osserva le usanze del digiuno: 275 giorni di digiuno all'anno. Le chiese sono importanti centri spirituali della vita delle persone. La musica sacra è principalmente cantata in Ge'ez, anche se esistono alcuni brani in amarico. Il Ge’ez è l'antenato delle moderne lingue Tigrino e Tigré dell'Eritrea e dell'Etiopia. Si è estinto come lingua vernacolare tra il 900 e il 1200.
Il digiuno è una parte importante del credo ortodosso etiope. Se per noi cattolici la Quaresima dura 40 giorni, in Etiopia dura 55 giorni consecutivi. Oltre a questo periodo di digiuno, ce ne sono altri sei che, se seguiti, portano ad un totale di 275 giorni. La regola della chiesa ortodossa etiope prevede per questi periodi l’astensione dai prodotti di origine animale e il divieto di consumare qualsiasi cibo e bevande dalla mezzanotte fino al pomeriggio del giorno seguente. Secondo il credo etiope, il digiuno ha il potere di liberare la mente dall’energia inutile e di fare avvicinare i credenti a Dio, favorendo l’equilibrio tra spirito e corpo. Secondo una ricerca del Pew Research Center, il 98% degli etiopi considera la religione una parte molto importante di ciò che sono. Oltre ad essere fortemente presente a livello spirituale, la fede può essere anche visibile sul corpo. Nella regione dell'Amhara in Etiopia, molti cristiani ortodossi etiopi sono adornati con il nikisat, una forma tradizionale di tatuaggio, spesso a forma di croce.
Perché dovremmo venire in Etiopia?
Quello che si vive in Etiopia non lo si sperimenta da nessun’altra parte. Dovreste venire in Etiopia per conoscere le persone, per entrare in contatto con una cultura vivace e straordinaria, per scoprire lingue, musica, danze e cibi veramente unici. Lo dovete fare con i vostri occhi, con il vostro gusto, con il vostro odore. Il paesaggio, la storia, le culture etniche… tutto è meraviglioso in questo paese. Le persone meritano il viaggio. Tutti sono molto amichevoli e condividono la loro cultura con un profondo senso di dignità e di uguaglianza umana.
Che potere ha il viaggio?
Amo di più la vita quando viaggio. Il viaggio mi rende felice, più esperto, più saggio e più aperto. Sento di ‘’vivere anni in più’’ quando viaggio. Spero che tutti abbiano la possibilità di farlo.
Ringrazio tantissimo Melaku Belay per aver accettato il mio invito. La sua storia, i suoi valori e il suo impegno per la condivisione della cultura etiope rientrano perfettamente in questo nostro viaggio dedicato all’umanità. Stiamo vivendo un’epoca di inaridimento. Tutto deve essere immediato, facile, disponibile. Accattivante, ma effimero. Superficiale. De-personalizzato. Ma cosa diventeremo? Siamo in questo mondo per vivere, non per sopravvivere. Abbiamo cuore, mente e piedi. Usiamoli. 1,2,3 – 4. Avete visto quante cose stanno in un nome?
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