MONGOLIA

TRA TEMPORALITÀ E SPIRITUALITÀ

«Mi piace pensare che possiamo trovare spiritualità in ogni cosa.

La nostra mente detiene una grande quantità di forza che dà potere a ciò che scegliamo.»

Jantsankhorol Erdenebayar

Come vi avevo anticipato alla fine dell’intervista a Saleh Lo, artista mauritano impegnato nella lotta alla schiavitù e alla discriminazione, oggi partiremo per la terra dei nomadi, dei monti Altai, della taiga, del deserto del Gobi e della steppa: la Mongolia.

Grande come 5 volte l’Italia, la Mongolia è il paese con la più bassa densità di popolazione al mondo. I suoi abitanti sono divisi quasi perfettamente tra i residenti di Ulan Bator e i pastori nomadi che si spostano con le loro carovane almeno 15 volte l’anno, in cerca di nuovi pascoli o di acqua per il proprio bestiame. Questo stile di vita molto antico, ha fatto sì che il legame tra uomo, natura e spirito si sia preservato fino ai giorni nostri. Se da un lato questo ha arricchito la saggezza e la profonda conoscenza dell’essenza della natura, dall’altro ha imposto precise regole di sopravvivenza. Per spostarsi e adattarsi ai cicli stagionali, i nomadi hanno sempre dovuto inventare soluzioni ingegnose. La mobilità costante, ha avuto una ripercussione sul pensiero, sull’arte e sulla possibilità di sviluppare un ampio repertorio di cultura scritta. Tuttavia, questo limite ha reso ancora più forte e profondo il legame ancestrale dei mongoli con il loro territorio e le loro antiche usanze. L’arte, la letteratura e la filosofia si sono sviluppate nella mente di tutti i mongoli, creando un connubio molto interessante da esplorare: la temporalità e la spiritualità. In un mondo in cui tutto si evolve rapidamente, come si può mantenere immutato e gestibile il nostro patrimonio umano e spirituale? Questa è una sfida a cui nessuno può sottrarsi, ma risulta molto importante osservare anche i comportamenti di altre culture e società. Il mondo culturale della Mongolia si è trovato davanti a questo problema: come tradurre il vasto, unico e complesso patrimonio orale in una forma culturale contemporanea? L’ho chiesto all’artista contemporaneo Jantsankhorol Erdenebayar, in arte Jantsa. 

Nato in una famiglia di artisti - suo padre è Erdenebayar Monkhor, noto pittore che utilizza spesso la figura del cavallo, mentre sua madre è Munkhtsetseg Javkhaajav, artista che mostra attraverso i suoi soggetti la forza delle donne - Jantsa è sempre stato affascinato dalle sue radici e dalla filosofia del suo popolo. Per il suo talento e per la sua forte sensibilità, oltre ad aver esposto a Ulan Bator, Shanghai, Los Angeles, New York e Singapore, Jantsa è stato scelto per rappresentare la Mongolia alla 58esima edizione della Biennale di Venezia (2019).

Jantsa, come ha avuto inizio la tua carriera artistica? 

Crescere in una famiglia di artisti sicuramente mi ha dato la spinta. Tuttavia, se uno non ha la volontà, anche con i migliori stimoli non va da nessuna parte. Penso che gli organismi viventi abbiano un naturale desiderio di sopravvivere, di sostenere o di migliorare in qualsiasi situazione. Di conseguenza, il desiderio è ciò che ci fa andare avanti, crescendo e acquisendo esperienze di diversi livelli. Questo vale anche per il desiderio di esprimere pensieri ed idee, di condividerli e di comunicare attraverso essi.

Qual è la filosofia della tua arte?

A volte sono un po’ pigro e mi piace sprofondare nella mia comfort zone, ma cerco di pensare a mente lucida e cosciente, e di farne buon uso. Per me l'idea di comfort zone è come un'immunità attuale di un corpo che, tuttavia, quando si trova a dover affrontare nuove condizioni o cambiamenti, che gli piaccia o meno, nel tempo inizia ad accettare e a diventare tutt'uno con il cambiamento. Un po’ come il ghiaccio che si scioglie e muta in base alla forma del contenitore in cui si trova. I miei lavori trattano le idee di resistenza. Una resistenza che finisce col non resistere, ma con l’evolversi in una fase diversa che può essere migliore o peggiore. Del resto, i miei lavori riguardano idee di manutenzione, di conservazione e di accettazione del tempo.

Jantsa
Jantsa

Che rapporto hai con il concetto di "tempo"?

La capacità del tempo di rivelare la vera natura delle cose è sorprendente: il suo potere di guarire o il modo in cui degrada, le nozioni di pericolo, di stress, di dolore. Questo potere si applica sia alla materia fisica, sia a quella invisibile. Il tempo ci fa pensare a cos'era prima e cosa sarà poi. Viene anche a fornirci la sua idea di "attesa", che può rendere le cose interessanti o dolorose. In alcuni casi, il tempo è ciò a cui resistiamo. Penso che il tempo sia molto complicato. I miei lavori cercano di confrontarsi con la temporalità del tempo.

Per i tuoi lavori utilizzi sia materiali biodegradabili, sia non decomponibili. Quale significato risiede nella scelta delle materie?

Trovo interessante il modo in cui i materiali non organici imitano l'aspetto di una natura o alcune parti di scene naturali, come un camuffamento. La schiuma di poliuretano, ad esempio, è un materiale che ha una forma molto organica e viene utilizzato per soluzioni rapide di riparazione domestica. Si espande e riempie tutti gli spazi vuoti. Sigilla i buchi in un edificio. Di conseguenza, ci porta calore e comfort, lontano dalle intemperie esterne. È una soluzione temporanea per sostenere la nostra vita, che nel tempo si indebolisce e diventa fragile. Immagino che quello che mi interessa è come le percezioni possano essere ingannate dall'apparenza delle cose, anche se alla fine hanno un risultato simile nel tempo.

La maggior parte delle tue sculture astratte sono ingombranti. La loro dimensione è in qualche modo correlata al fatto che, in passato, uno dei limiti della produzione artistica della Mongolia era l’impossibilità di trasportare oggetti che non fossero basilari? Questa limitazione ‘’antica’’, derivata dallo stile di vita nomade, può essere vista oggi come uno stimolo per le giovani generazioni a mantenere vivi i patrimoni immateriali ereditati dalla vostra lunga e importante tradizione orale?

È vero che lo stile di vita tradizionale mongolo in passato era molto minimale, a causa della continua mobilità. Tutto doveva essere pratico, significativo e, soprattutto, in armonia con la natura. Questo rendeva straordinarie le cose più semplici. Si pensi, ad esempio, agli accessori o agli strumenti in legno e argento con i loro dettagli e alla logica del puzzle che sta dietro la loro costruzione. Nel mio lavoro cerco di incorporare le tradizioni orali, in quanto tento di focalizzare e localizzare la mentalità e la logica che risiede dietro di esse. Mentre studiavo la mia affascinante cultura, ho notato modelli simili anche in altre culture. Le differenze erano gli ambienti circostanti e le condizioni di vita delle persone, mentre la similitudine era la volontà di risolvere i problemi generati dal contesto ambientale. Ad esempio, durante il mio soggiorno a Venezia, ho girovagato per negozi di ferramenta e piccoli mercati, per scoprire i problemi comuni che i veneziani affrontano nel loro particolare contesto di vita. L’avere problemi è, in un certo senso, molto attinente alla sfera degli affetti. Le limitazioni ci portano a pensare a nuove possibili soluzioni e ad assumere un nuovo modo di vedere le cose. Credo che questo sia ciò che ci ha permesso di crescere e di conoscere noi stessi sempre più in profondità nel lungo viaggio dell’esistenza.

Vivo in un paese, l'Italia, dove la cultura scritta è predominante. Tuttavia, ci sono altre culture che non hanno avuto, per ragioni di diversa natura, l'opportunità di sviluppare una cultura scritta su larga scala. Molti credono che questo sia sinonimo di mancanza di civiltà e di cultura. La Mongolia è una nazione nomade in cui la cultura orale è predominante. Tuttavia non è certamente priva di cultura, anzi…

Questa credo che sia una delle azioni del "tempo". Le cose cambiano gradualmente. Certe nazioni si svegliano grandi e vanno a dormire con l’essere dimenticate. Poi si risveglieranno di nuovo quando sarà il momento. Le invenzioni dei mongoli e ciò che esse offrivano al vecchio mondo, erano incredibili. L’impero mongolo e le sue diverse influenze nelle arti, nella cultura e nelle religioni, erano molto ampie. Non avevano limiti, ed erano ad un livello avanzato di ingegnosità e di sensibilità verso la prosperità. C’è molta letteratura scritta dai mongoli, ma le tradizioni orali sono maggiori. Ad esempio, Storia segreta dei mongoli - la più antica opera letteraria scritta in lingua mongola pervenuta fino ad oggi - è una delle più antiche opere letterarie che mostra quanto fosse complessa e ricca di sfumature la letteratura orale e scritta. Ti faccio qualche esempio di patrimonio orale: le famiglie cercano di superare il lungo inverno con le sue giornate corte, invitando artisti itineranti del folklore, per far conoscere il patrimonio orale ai giovani. Inoltre, prima di andare a dormire, i genitori condividono con i figli, attraverso il gioco, degli indovinelli fantasiosi molto utili a far loro conoscere la vita quotidiana e l'ambiente circostante. Alcuni indovinelli ad esempio, si basano sull’anatomia. Essi servono per favorire la familiarità e la conoscenza del funzionamento del corpo animale e umano, e a comprendere come e dove sono situati e collegati gli organi. Non mi sorprende che questo tipo di conoscenza venga applicata anche alla meccanica e all'ingegneria. Dal mio punto di vista, questo potrebbe essere l’unico modo di trovare soluzioni e risorse adatte alle sfumature dell’ambiente circostante. Sono sicuro che ogni cultura ha i propri modi unici di connettersi alla natura. Il modo mongolo è solo uno di questi. L’unicità della Mongolia, e il fascino che ne deriva, è l’equilibrio tra la connessione spirituale e la praticità. Un equilibrio che può essere visto nei minimi dettagli. I mongoli credono che i fiumi e le montagne abbiano un proprietario spirituale che li protegge e li nutre.

La Mongolia ha una serie di patrimoni immateriali riconosciuti dall'UNESCO, tra cui Urtiin Duu - il canto lungo - la tecnica tradizionale di produzione dell’Airag - latte di cavalla fermentato, conosciuto anche con il nome russo di ‘’kumys’’ - le pratiche di adorazione dei luoghi sacri, la falconeria, il rituale di persuasione per i cammelli - per incoraggiare una femmina di cammello ad accettare un piccolo appena nato o ad adottare un orfano - e il Khöömei - il canto di gola. È possibile tradurre queste antiche e complesse tradizioni orali in una forma d'arte contemporanea? 

Finché parliamo di esperienze umane, penso che sia sempre possibile trovare un modo per interpretare o rappresentare. Non importa quanto distante o astratta sia l'idea. Potrebbe non essere facile, ma questo è ciò che lo rende impegnativo e stimolante allo stesso tempo. Vale la pena correre il rischio. Quando il battito del cuore di un essere umano è in uno stato calmo, tendiamo ad accettare maggiormente le idee e lasciamo che il nostro cuore si apra. Finché ci tocchiamo attraverso qualsiasi forma d'arte o qualsiasi mezzo di comunicazione, credo che possiamo condividere tutto ciò che vogliamo.

Hai partecipato come rappresentante del tuo paese alla 58esima edizione della Biennale di Venezia. Pensando alla Mongolia, le prime cose che vengono in mente sono gli spazi infiniti e il senso di libertà. Tuttavia, il padiglione della Mongolia era negli stretti vicoli di Calle del Forno, in un'atmosfera che ricorda una grotta ancestrale. Perché la scelta di quel luogo angusto come location?

Quando ho visitato per la prima volta gli spazi possibili per l’esposizione, quel vicolo stretto mi ha molto colpito e impressionato. La visita della mostra inizia oltre lo spazio del padiglione vero e proprio, quindi ho sentito che l’esperienza non doveva essere limitata dalle strette mura, ma doveva estendersi, attraverso il cammino dei visitatori, tra quella rete di vicoli. Gli stretti passaggi colpivano mentalmente le persone che vi camminavano, rendendole più consapevoli dell'ambiente circostante, delle possibilità di essere bloccate, di imbattersi in un vicolo cieco o di dover trovare una via di fuga. Una volta entrate nello spettacolo, l'interno del locale sembrava una grotta. È stato molto interessante lavorare su quell'aspetto, dato che dovevo ‘’collaborare’’ con elementi tradizionali, come il canto di gola e i suoni di tono basso. Lo spazio e l’atmosfera erano veramente perfetti. In un certo senso, ho voluto creare una sorta di cluster per mettere a disagio i visitatori e, allo stesso tempo, per offrire loro un'alternativa, attraverso la componente sonora, illimitata ma effimera, della mostra. I visitatori, camminando attraverso le mie installazioni, erano spinti a superare delle barriere-sfide, fino a raggiungere il termine del percorso, ovvero l’uscita posta all’estremità dello stretto passaggio. Una volta fuori, il canto di gola giocava ancora nella loro mente.

Ci può raccontare il significato profondo del Padiglione Mongolia A Temporality?

È come una piccola offerta di un viaggio, in cui le giustapposizioni di opposti si incontrano in un punto, come infinito e finito, duro e morbido, organico e creato dall'uomo, vastità e limitatezza, invisibile e visibile. Oltre agli opposti, riguarda anche l'accettazione e l'armonia, poiché le cose a cui cerchiamo di aggrapparci sembrano sempre perire. Ma la domanda è se girano intorno o no. Possiamo lasciare che ci rivisitino o dobbiamo essere noi a ricollegarci con loro?

In origine, i mongoli praticavano il canto della gola come mezzo per comunicare con il loro sé interiore, l'ambiente circostante e gli animali. I suoni differivano a seconda dell'ambiente, delle menti, dei corpi e degli spiriti evoluti delle persone che li hanno emessi. In questo caso vi siete trovati in uno spazio molto ristretto. Cos’avete voluto dimostrare con questo esperimento? Che sinergia si è creata tra lo spazio che hai allestito, i cantanti di gola e il curatore del suono tedesco Carsten Nicolai?

Sono profondamente grato che le mie idee si siano riflesse con l'idea di Gantuya Badamgarav - curatrice della mostra. Questo progetto combina il concetto astratto di eredità vocale tradizionale con le arti visive, e trova la sua strada attraverso la cura del suono di Carsten Nicolai. All'inizio sembrava opprimente solo pensare al concetto, ma era palese che ci fosse un'innegabile connessione tra i miei lavori precedenti e ciò che stavamo per creare insieme. Quindi, ho deciso di lasciare che le cose si svelassero mentre procedevo nella mia opera creativa. Penso che questo sia stato ripagato. L'assenza di infinito, in termini di spazio, è stata offerta attraverso il suono, e la vaghezza dei suoni è stata a sua volta offerta attraverso le installazioni. Le idee di cosa non c'è e cosa potrebbe esserci sono state giustapposte. L’insieme delle diverse discipline, così come il risultato dell'incontro, è molto sfumato. Penso che si completassero a vicenda, proprio nel modo in cui i mongoli trovano armonia con la natura. Era una specie di offerta in quello spazio, e in cambio abbiamo ricevuto un momento in cui tutto ha trovato la sua strada.

Nella 57esima edizione della Biennale di Venezia, l'arte mongola si è presentata come attenta alle nuove tecniche espressive e capace di racchiudere l'essenza della cultura ancestrale, della coscienza civile e della sensibilità verso i problemi sociali della Mongolia. Quindi, l'arte in Mongolia è anche uno strumento di progresso civile?

C'è una scena artistica intrigante in Mongolia da molto tempo. Ci sono state arti e mestieri tradizionali incredibili e c'è stato anche un periodo influenzato dai sovietici con le loro arti di propaganda. E poi, i primi anni '90 sono diventati la pietra angolare per l'arte contemporanea mongola per trovare la sua voce e la sua identità. Sta ancora cercando di trovare la sua strada insieme al rapido ritmo dello sviluppo della nazione e del tempo in generale, come qualsiasi altra arte ovunque nel mondo.

Nelle precedenti interviste abbiamo affrontato - grazie all'aiuto di Yilmaz Orkan, rappresentante del Kurdistan in Italia, e Gennaro Spinelli, leader europeo delle comunità rom - il tema della discriminazione e della cancellazione delle identità culturali. Attualmente nella Regione Autonoma della Mongolia Interna, ci troviamo di fronte ad un tentativo delle autorità cinesi, di allontanare fisicamente e culturalmente gli abitanti mongoli dalla regione. Molte proteste sono rimaste inascoltate o sono sfociate in violenza. Cosa ne pensi? L'etnia mongola è stata vittima di discriminazione, esclusione o cancellazione culturale?

La Mongolia è stata costretta dai sovietici ad adottare la scrittura cirillica, anche se avevamo la nostra scrittura mongola. È una bellissima scrittura che riflette la nostra tradizione culturale e, cosa più importante, porta la mentalità e la filosofia generale dei mongoli. Dopo l'arrivo della democrazia negli anni '90, avremmo potuto ripristinare la nostra scrittura, ma fino ad ora non l'abbiamo ancora fatto, nonostante tutta la libertà di cui godiamo. Quindi, non posso dire nulla ai mongoli della Cina sulla questione. Mi sento come se non fossimo in grado di esprimere un'opinione, perché noi mongoli democratici non abbiamo fatto nulla per proteggere questa eredità. Dopo aver adottato il cirillico, c'è stato un periodo in cui volevamo diventare come gli altri. Solo di recente stiamo iniziando a pensare che sia imperativo avere qualcosa di unico che ci contraddistingua.

Sei nato in una famiglia di artisti. Per i giovani mongoli che non hanno avuto la tua stessa fortuna, c'è la possibilità, attraverso l'educazione familiare e scolastica, di avvicinarsi all'arte? Il governo investe in questo settore, ad esempio creando corsi, musei o mostre?

Ogni volta che un visitatore viene in Mongolia e vede la nostra arte, rimane sorpreso. C’è stata una crescita artistica molto forte. Esistono programmi per preservare o reintrodurre arti e patrimoni, ma non c'è quasi nessun sostegno da parte del governo che aiuti veramente l'arte contemporanea. Tuttavia, anche senza alcun aiuto, è effettivamente sorprendente che un buon numero di artisti abbia prodotto il proprio lavoro e abbia trovato la propria strada da solo. Ci sono possibilità di studiare arte presso università d'arte o altre istituzioni. Il problema è come sostenere in seguito gli artisti professionisti, perché non esiste un mercato d’arte stabile o dei musei - fatta eccezione per i musei storici e il Museo di Zanabazar. Indipendentemente dal problema, penso che, alla fine, chi vuole, diventa un vero artista da solo.

Cosa significa dare uno spazio fisso e regolare all'arte in un contesto culturale di nomadismo e di mancanza di comunicazione tra artisti?

Il nomadismo è uno stile di vita ingegnerizzato e sofisticato che eravamo soliti vivere, ma solo una piccola percentuale delle persone ha mantenuto questo stile di vita. La maggior parte delle persone si sono trasferite nelle città, ma hanno portato con sé la mentalità e lo spirito dell'intelligenza che hanno usato per vivere e sopravvivere fino a quel momento. Ad esempio, l’aver sempre dovuto ingegnarsi per sopravvivere al ciclo delle quattro stagioni, rende le persone incerte e le porta sempre a pensare che possano esserci degli imprevisti non calcolati. Questa mentalità potrebbe aver influito sul carattere degli individui e sul modo di comunicare tra le persone.

Uno degli effetti della pandemia sul mondo dell'arte è stata la creazione di tour virtuali. Tuttavia, da amante della cultura e dei viaggi, non sono d'accordo con chi dice che questa modalità virtuale può essere una risorsa sostituiva da utilizzare anche dopo la fine della pandemia, ma che dovrebbe essere solo temporanea. Questo vale soprattutto per i viaggi che si basano sul contatto reale tra uomini e tra culture. Tu cosa ne pensi? Quanto è importante l'interazione tra individui e arte in uno spazio fisico?

Penso che l'interazione con l'arte nello spazio e nel tempo reali non perderebbe mai la sua essenza, perché è una cosa molto naturale per noi sentire la sensazione attraverso il nostro corpo. Ma per quanto reale sia, lo spazio virtuale sta quasi diventando normale nelle nostre vite. Quindi, anche se non può sostituire il reale, penso che possiamo esplorare ciò che può offrire, vedere se può estendere i nostri modi di condividere idee e capire che tipo di significati, o di mancanza di significati, potrebbe offrire.

Oggigiorno l'interazione tra essere umano, natura e spirito è quasi estinta. Pensi che questa perdita di interazione influenzerà anche la cultura mongola?

Penso che sia una cosa a cui non possiamo sfuggire. È la verità. Ma nell'arte possiamo nasconderla o camuffarla con idee e farla scoprire da altri. Mi piace pensare che possiamo trovare spiritualità in ogni cosa, sia che sia natura o meno. La nostra mente detiene una grande quantità di forza che dà potere a ciò che scegliamo.

Credi che i ritmi frenetici che ci vengono imposti rischiano di minare la naturale esigenza dell'individuo di avere un tempo per ciò che non ha fini utilitaristici? C'è ancora bisogno di spiritualità?

Come il naturale istinto di sopravvivenza, penso che la spiritualità sia essenziale per sopravvivere. Non deve riguardare le religioni. Bisogna credere in qualcosa, pensare di non essere soli e credere che ci sono altre connessioni e relazioni che non sono solo visibili.

Per concludere, credi che il viaggio, inteso come esplorazione non solo di un luogo, ma come scoperta o riscoperta di un insieme di patrimoni umani, possa essere un buon modo per coltivare la nostra identità collettiva?

Viaggiare aumenta la nostra attenzione, ci fa vedere ciò che normalmente non riconosceremmo e accende il nostro istinto di sopravvivenza per tornare a casa in sicurezza. Tornare indietro dopo aver viaggiato, ci permette di vedere le cose preziose e degne di nota che abbiamo anche a casa. Avere qualcosa da raccontare e condividere è una delle cose più grandi che possiamo fare.

© Riproduzione riservata

Ringrazio Jantsa per aver condiviso con noi la sua interessantissima prospettiva. Le sue riflessioni sono cariche di sensibilità, proprio come la sua arte. Per chi volesse seguire i futuri progetti di Jantsa (speriamo torni presto a farci visita in Italia), può visitare il suo sito personale.

Nella prossima intervista resteremo in un’atmosfera ‘’atavica’’, scendendo nel sottosuolo di Napoli alla scoperta delle Catacombe di San Gennaro e di San Gaudioso. A farci da guida sarà Vincenzo Porzio, responsabile della comunicazione per la cooperativa La Paranza, artefice della rinascita culturale, sociale ed economica del Rione Sanità.

 

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