MAURITANIA

L’ARTE CONTRO LE INGIUSTIZIE

L’articolo 4 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata dall’ONU stabilisce che «Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.» Ma come stanno realmente le cose? La schiavitù esiste ancora? Purtroppo sì. La realtà della Mauritania ne è un esempio.

La Mauritania, il cui nome deriva dalla parola fenicia “mahurim”, “uomo dell’Ovest”, è l’anello di congiunzione tra il nord Africa arabo e l’Africa nera. Altopiani rocciosi, profondi wadi, dune di sabbia, affascinanti cittadine carovaniere e spiagge deserte, caratterizzano questo paese in cui i modelli di vita nomade e sedentaria convivono da secoli. La bellezza surreale della natura si scontra con una realtà tenuta nascosta: la schiavitù. Abolita, criminalizzata e negata dal governo, la schiavitù è una pratica tuttora diffusa e tollerata. Coloro che dovrebbero far rispettare i diritti umani, ovvero i rappresentanti dell’ONU, hanno eletto la Mauritania come nuovo membro del Consiglio dei diritti umani per un periodo di tre anni, a partire da gennaio 2020 (da notare anche la presenza di Venezuela e Libia…). Come fare a fermare questa forma di violenza fisica e psicologica o, perlomeno, a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento? Ho voluto chiederlo ad un giovane ritrattista e pittore mauritano, Saleh Lo che ha esposto e preso parte a progetti a Nouakchott, Dakar, Cartagine, Barcellona, Berlino, Mumbai e Parigi. Celebrato dalla critica internazionale per il suo talento e per il suo impegno artistico e politico nel trattare temi come la discriminazione razziale e l’esistenza negata della schiavitù, Saleh ha lavorato a stretto contatto con schiavi e attivisti liberati per i quali, nonostante il fatto di essere liberi, la libertà diventa molto ambigua. La loro nuova condizione li pone in uno spazio intermedio in cui sono fisicamente liberi, ma non hanno spazio nella società. Dipingendo i loro ritratti, Saleh crea un modo per ripristinare la loro dignità e il loro diritto ad un’esistenza civile.

«A volte per alcune persone può essere difficile capire il messaggio dietro un ritratto, poiché non è chiaramente definito.

Ma questo non è importante per me. Per me l'importante è dipingere un essere umano e la ricchezza della sua anima.»

Saleh Lo

Saleh, come inizia la tua storia artistica?

Ho iniziato a disegnare quando avevo cinque anni. Da bambino avevo sempre una matita con me e passavo ore e ore a disegnare. La mia famiglia conosceva questa forte vocazione per il disegno e per loro, così come per la maggior parte delle persone intorno a me, il vedermi trascorrere tutta la giornata a disegnare era motivo di nervosismo. Solo mia madre mi ha sostenuto sin dall'inizio, spingendomi ad andare sempre più avanti. Qui in Mauritania, le persone non sono sensibilizzate ed esposte all'arte, quindi la gente non capiva davvero perché fossi interessato e appassionato a questo mondo. A 17 anni, dopo aver conseguito il diploma, pensavo di poter andare all'estero per iscrivermi ad una scuola d'arte, visto che in Mauritania non esistono. Ma la mia famiglia non poteva permettersi le spese. Quindi, ho deciso di non rinunciare alla mia passione e di continuare a sviluppare la mia abilità nel disegno da autodidatta, seguendo video e tutorial su YouTube. Ho imparato a mescolare i colori su una tela e a dipingere. Ma in questa fase, anche se sapevo che il disegno e la pittura erano gli unici pensieri che realmente mi interessavano, mi era difficile, quasi impossibile, capire come avrei potuto trasformare questa passione in un vero lavoro. Così, mentre lavoravo in un albergo, continuavo a dipingere nel mio tempo libero. Poi la svolta nel 2012 con la mia prima mostra personale. Anche se prima di allora avevo già partecipato ad altre mostre collettive, è stato in quel momento che ho deciso di fare della pittura il mio lavoro.

Come si presenta oggi la realtà artistica in Mauritania? L'arte è una risorsa riconosciuta e apprezzata?

La Mauritania è un paese privo di scuole d'arte dove l'accesso alla formazione artistica non è una realtà. La maggior parte delle persone non è sensibilizzata all'arte, al suo significato, al potere e al ruolo che l'arte può svolgere nella società. Quindi, direi che la maggior parte delle persone non riconosce l'arte come una risorsa preziosa. Tuttavia, negli ultimi 20 anni, è nata una nuova comunità di artisti che sta contribuendo a dinamizzare l'ambiente artistico della capitale del paese, Nouakchott. Da lì, si sono formati diversi luoghi artistici, creando da un lato nuove opportunità culturali e artistiche, dall'altro aumentando la consapevolezza dell'opinione pubblica. Ma stiamo ancora parlando di una minoranza.

Quanto ha influenzato la tua vita, e di conseguenza la tua arte, l'aver vissuto in uno slum di Nouakchott? 

Sono nato e vissuto fino a 27 anni in un quartiere della città chiamato “Cinquieme”, il ‘’quinto’’, e sì, può essere considerato uno slum. È un quartiere multiculturale, molto vivace, colorato e dinamico, dove convivono diverse etnie e nazionalità. Naturalmente, viverci ha influenzato la mia vita, la visione dell'esistenza e, conseguentemente, la mia arte. Ad esempio, la mia prima mostra personale è stata sui bambini di strada perché era - ed è ancora - una realtà di questa parte della città.

"La sconosciuta" di Saleh Lo, 2018, Acrilico su carta, 42x56cm - Ritratto di una donna che Saleh ha incontrato in India. È nata per strada e lì ha vissuto per 35 anni con la sua famiglia
"La sconosciuta" di Saleh Lo, 2018, Acrilico su carta, 42x56cm - Ritratto di una donna che Saleh ha incontrato in India. È nata per strada e lì ha vissuto per 35 anni con la sua famiglia

Sebbene la schiavitù sia stata ufficialmente abolita nel 1981, criminalizzata nel 2007 e negata dal governo, è ancora una pratica diffusa. Ricordiamo che, in questo caso specifico, è una schiavitù per nascita che si trasmette per linea matriarcale. Le pratiche relative alla schiavitù sono accettate e tollerate o provocano indignazione e dissenso nell'opinione pubblica locale?

Sì, qui in Mauritania esistono ancora diverse forme di schiavitù. È importante capire cosa significa schiavitù in Mauritania. Uno schiavo è una persona che vive e lavora a tempo pieno per il suo padrone nella sua casa. Lo schiavo cucina, pulisce, si prende cura della casa, ma non viene pagato. Uno schiavo non ha un giorno libero, non ha una casa propria, non va a scuola. Diverse volte, il padrone può usare lo schiavo anche come oggetto di piacere. Vivere in questa casa e servire la famiglia del padrone, è la normalità per queste persone che non possono nemmeno immaginare di decidere e di pensare alla propria vita perché, in fondo, non conoscono il concetto di libertà. La schiavitù si trasmette attraverso la linea materna. Se sei uno schiavo, il giorno in cui dai alla luce un bambino, anche questo bambino è uno schiavo e il padrone può venderlo, darlo o affittarlo. Per quanto riguarda la reazione dell'opinione pubblica, essa è divisa tra persone che ritengono che non ci sia la schiavitù in Mauritania e persone che continuano ad essere indignate e a protestare contro questa realtà. Parlare di schiavitù può essere ancora un argomento tabù in certi contesti sociali.

Quale realtà sociale affrontano le persone fisicamente liberate dalla schiavitù? Uno schiavo liberato è realmente ‘’libero’’? Credi che l'arte, la cultura e l'istruzione possano essere armi vincenti per combattere questa terribile forma di violenza fisica e psicologica?

La libertà è libertà e non ha eguali. Tuttavia, è vero che, a volte, uno schiavo liberato può incontrare alcune difficoltà e ostacoli nell'integrazione nella società. Ciò può essere dovuto, ad esempio, al fatto che queste persone non hanno alcun documento di identità o alcun risparmio economico che possa aiutarli a gestire una piccola impresa. Sì, assolutamente: arte, cultura, educazione sono gli unici strumenti che possono aumentare la consapevolezza, e di conseguenza ridurre l'ignoranza e i pregiudizi, oltre che le paure.

Saleh Lo mentre dipinge "Cheibani" - 2020, Acrilico e olio su tela 95 x 100 cm
Saleh Lo mentre dipinge "Cheibani" - 2020, Acrilico e olio su tela 95 x 100 cm

Aida, Mamadou, Tibiba… Non sono solo i titoli delle tue opere. Sono i nomi dei protagonisti dei tuoi ritratti. Quale storia si cela dietro i loro sguardi?

Mamadou, Tibiba e Aida fanno parte della raccolta sul “metissage”. Io stesso sono figlio di un incrocio tra culture diverse. Mio padre è wolof - il principale gruppo etnico del Senegal - e mia madre è di origini moresche, quindi appartengono a due etnie diverse. Il contesto della Mauritania ha svolto un ruolo chiave nelle questioni che sono ora oggetto del mio lavoro. In effetti, secondo me, una delle maggiori sfide che la società mauritana deve affrontare oggi è la coesistenza di comunità diverse. Queste comunità sono diverse per costumi, tradizioni e lingue, ma sono uguali perché i loro diritti e doveri sono uguali. Credo nel potere dell'arte come collegamento vitale che ci ricorda la nostra comune umanità e ci aiuta a costruire ponti tra le culture e ad identificarci meglio con gli altri. Sulla base di questo principio e utilizzando l'arte come piattaforma, cerco di promuovere l'integrazione sociale in Mauritania, di ridurre la discriminazione in tutte le sue forme e di sostenere un'identità nazionale inclusiva, in cui le culture e le etnie rappresentino la diversità come ricchezza, non come minoranze da discriminare. Attraverso le mie opere, voglio continuare la mia riflessione sul ruolo che l'arte ha svolto, e può continuare a svolgere, in una moderna società multiculturale e multidentitaria.

Mi hanno molto colpito alcuni tuoi ritratti di persone che reggono un megafono. Cosa stavano urlando? 

Sì, il megafono è un oggetto che ricorre in due collezioni, dove sono presenti un uomo e delle donne. L'uomo fa parte della collezione “Battling to Normalize freedom” - combattere per normalizzare la libertà. Le donne appartengono a quella “Libre ou esclave” - Libero o schiavo - e rappresentano le persone che manifestano contro la prigionia di Biram Dah Abeid - presidente dell'IRA, Iniziativa per la Rinascita del Movimento Abolizionista, un gruppo anti-schiavitù mauritano fondato nel 2008.

''Cheikh Fall'' di Saleh Lo - 2015 , Acrilico e olio su tela, 110 x 140 cm
''Cheikh Fall'' di Saleh Lo - 2015 , Acrilico e olio su tela, 110 x 140 cm

Che emozione provi quando queste persone guardano il loro ritratto? Quanto è importante l'empatia? 

Invito sempre le persone che ho dipinto all'inaugurazione della mostra. Secondo me, questo non è solo un modo per ringraziarli, ma anche per dare loro visibilità. Alcune persone sono orgogliose e felici di essere dipinte, poiché sanno che portano un messaggio dietro di loro. Altri invece, possono essere più timidi. Riguardo all'empatia, non riesco a dipingere qualcuno che non sento. Quindi sì, l'empatia è il primo strato dei miei lavori.

Le tue opere mi hanno particolarmente colpito perché non ci offri il solito "spettacolo del dolore", un percorso che, secondo il mio punto di vista, porta solo alla compassione passiva. Ci metti di fronte alla dignità delle persone reali. Secondo te perché c’è la tendenza a spettacolarizzare il dolore delle persone senza voce, danneggiando il loro diritto alla dignità? Qual è il limite tra dare visibilità per scuotere i cuori e dare visibilità per attirare l'attenzione/audience?

Penso che "spettacolarizzare il dolore" sia il modo più semplice e veloce per comunicare un problema, un argomento. Va dritto al punto ed è facile da capire per tutti. Quindi, non è importante quali altre conseguenze possano derivare da questa spettacolarizzazione del dolore. Al contrario, con la mia arte, voglio comunicare intorno a un argomento, sì, ma, poiché il mio argomento riguarda sempre le persone, è fondamentale per me proteggere queste persone, tutelare e valorizzare la loro dignità. A volte per alcune persone può essere difficile capire il messaggio dietro un ritratto, poiché non è chiaramente definito. Ma questo non è importante per me. Per me l'importante è dipingere un essere umano e la ricchezza della sua anima.

''Amina'' discendente di uno schiavo, di Saleh Lo - 2016, Acrilico e olio su tela 95 x 100 cm
''Amina'' discendente di uno schiavo, di Saleh Lo - 2016, Acrilico e olio su tela 95 x 100 cm

Come accade in molti paesi che negano l'esistenza di problemi sociali, dare voce alle vittime diventa difficile e pericoloso. Sei mai stato vittima di qualche forma di censura?

No, mai.

Anche se poco presente nell'immaginario collettivo, la Mauritania è un Paese che mi ha sempre affascinato. Questo interesse è nato in una notte speciale. Voglio condividere con te il ricordo di quel momento. Era una delle solite serate nella calma e pacifica Bouarfa, una città nel profondo sud-est del Marocco dove ho vissuto per un progetto di volontariato linguistico. Il custode della scuola dove abitavo venne di corsa a chiamarmi: ''Gauria beida - straniera bianca – vieni! Corri amica mia. Sono arrivati. Vogliono suonare per te''. Non capendo a chi si riferisse, corsi velocemente nel cortile interno e mi ritrovai di fronte a un gruppo di uomini dalla pelle ambrata che mi accolsero con un sorriso più bianco della luna. Sembravano principi avvolti in bellissimi abiti blu bordati d'oro. Intorno al collo portavano amuleti simili a quelli che avevo visto usare come bussole nel deserto. Erano gli Iggawen, cantanti mauritani che si spostavano nel deserto per portare musica e gioia nelle nostre notti. Non fui in grado di comunicare con loro a causa della lingua, ma quella notte ballammo e ridemmo insieme, come se fossimo fratelli. Così come arrivarono, così rapidamente svanirono tra le rosse dune formate dal la3jaj, il vento del deserto. Da allora ho sempre sentito una forte curiosità per questo paese sconosciuto. La musica ha sempre rappresentato una fonte di sfogo e una forma di rivendicazione culturale. Il flamenco o la musica gnawa sono due esempi ben noti. Che ruolo gioca la musica nella cultura mauritana? Chi sono gli Iggawen?

Iggawen è il nome in Assania - il dialetto arabo della Mauritania - dei cantanti che hanno acquisito la loro arte imitando direttamente i talenti musicali dei loro antenati. Hanno eseguito il T'heydinne, un ensemble epico moresco della Mauritania. La musica mauritana è, come i diversi gruppi etnici che compongono il paese, una musica multiculturale, con all'origine un forte riconoscimento del suo unico ramo classico, l'Iggawin, il medh - canzoni alla gloria del Profeta dell'Islam peculiare dei "mori neri" - i redh - musica da ballo con sottofondo di tam-tam - nonché le tradizioni musicali dei gruppi etnici dell'Africa nera. Sebbene la musica tradizionale sia vista come legittima se praticata da uomini, le due personalità più famose a livello internazionale sono due donne delle famiglie Iggawin, Dimi Mint Abba e Malouma. I giovani ascoltano principalmente reggae e rap.

Nonostante l'enorme potenziale umano, naturalistico e culturale - ricordiamo tra le tante attrazioni le pitture rupestri lasciate dai bafour e gli oltre 30.000 manoscritti rinvenuti nelle "villes anciennes" di Chinguetti, Ouadane, Tichitt, Oualata - la Mauritania è ancora un paese sconosciuto. Quanto è realistico pensare che la Mauritania potrebbe diventare una futura destinazione per il turismo culturale alternativo?

Non so se ci sia la volontà di fare della Mauritania un paese turistico. So che c'è un ufficio governativo incaricato a farlo. Penso che ci siano bellezze e ricchezze ovunque, quindi non voglio dire che la Mauritania è il paese più bello del mondo, ma ci sono ovviamente alcune attrazioni che meritano di essere scoperte. Qui, la bellezza deriva principalmente dalla natura selvaggia, il che significa che non ci sono monumenti o altre belle costruzioni umane. Se vieni in Mauritania, devi aspettarti di vedere dune di sabbia, oasi verdi, una bellissima e incontaminata spiaggia sull'oceano, più di tutte le vecchie città che hai citato.

Per concludere, credi che il viaggio, inteso come esplorazione non solo di un luogo, ma come scoperta o riscoperta di un insieme di patrimoni umani, possa essere un buon modo per costruire e coltivare il concetto di sé come unità fondante di un grande insieme chiamato umanità?

Ovviamente. Viaggiare, stare a contatto con realtà diverse, scoprire altre culture è il modo per capire che tutti gli esseri umani appartengono alla stessa grande famiglia, o grande insieme, come hai detto tu.

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Ringrazio Saleh per la grande possibilità che ci ha offerto. La sua testimonianza di uomo e di artista mi ha profondamente colpita, così come la sua forte e importante missione. Se volete seguire il lavoro di Saleh Lo, potete visitare il suo sito personale o seguirlo sulla sua pagina ufficiale Instagram.

E dopo aver viaggiato in Africa tra Costa d’Avorio con Samuel Hili, Burkina Faso con i gemelli Ouattara e Mauritania con Saleh Lo, preparatevi a cambiare completamente orizzonte. Nella prossima intervista partiremo per la Mongolia. Ad accoglierci e a parlarci della cultura nomade mongola, sarà Jantsankhorol Erdenebayar in arte Jantsa, celebre scultore che ha rappresentato la Mongolia alla Biennale di Venezia, ottenendo un successo planetario.

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