IL TEATRO

STRUMENTO DI INTEGRAZIONE CULTURALE

«L’Italia rappresentava un nuovo mondo per me.

Mi sono reso conto che dovevo ricominciare tutto daccapo: imparare una nuova lingua, una nuova cultura e, a mia volta, presentare la mia.

Sentivo anche che era mio compito affrontare alcune tematiche sociali a me care, come ad esempio l’immigrazione...» 

Yepahanan Samuel Hili

Il nostro viaggio tra le voci della cultura prosegue con un tema che divide l’opinione pubblica e scatena polemiche nel mondo politico: l’immigrazione. Gli estremismi nel mondo dei viaggi e della cultura hanno vita breve. E allora? Come fare a parlare di un tema così delicato? Ho pensato di guardare la questione da un altro punto di vista, quello del palcoscenico. Il teatro, grande risorsa recentemente messa da parte e bollata come ‘attività non essenziale’, è un luogo in cui tutto è possibile, persino costruire ponti le cui fondamenta affondano nella sincera voglia di comprendersi e di riscoprirsi simili. 

Nato in Costa d’Avorio all'inizio degli anni '80 da genitori contadini e laureato in chimica presso l’Università di Abidjan, Samuel fu costretto a fuggire dalla feroce guerra civile che imperversava nel suo paese. Dopo il viaggio e le mille difficoltà, Samuel arrivò in Italia nel 2008 dove, dopo essere stato ospite per circa tre mesi nei centri accoglienza di Crotone, si trasferì a Mantova, città in cui tuttora risiede. Fin dai primi momenti in Italia, Samuel comprende quanto sia difficile dialogare fra culture diverse. Si ritrova ad osservare comportamenti, linguaggi, atteggiamenti che fanno nascere in lui il desiderio di confronto e comunicazione. Mentre impara l’italiano e allaccia amicizie, approfondendo aspetti culturali, filosofici e religiosi che da sempre lo hanno interessato, scopre il suo amore per l’arte e il teatro in particolare, soprattutto come forma di interazione e integrazione. Nel 2010 inizia a frequentare la Scuola di Teatro di Mantova, gestita dall’Accademia Teatrale Campogalliani e da Ars Creazione Spettacolo, e nel 2013 si diploma. Dopo il primo saggio in cui rappresenta il personaggio di Otello, comincia a scrivere il suo primo spettacolo dal titolo Ambasciatore Mamma Mia: in maniera ironica rappresenta pregiudizi e stereotipi, comuni e a volte bizzarri, che sono propri nei rapporti fra ‘stranieri’. Visto il successo dello spettacolo, il titolo diventerà anche il nome della sua compagnia teatrale e dell’associazione culturale 'Ambasciatore Mamma Mia', che collabora con molte realtà culturali a livello nazionale e internazionale. Nel 2014 vince un bando e riceve una borsa di studio che lo porta a Parigi per fare un’esperienza nell’ambito del teatro fisico. Dopo il grande successo dello spettacolo Ambasciatore Mamma Mia, Samuel ha ideato e messo in scena altri spettacoli teatrali tra cui C’era una volta in Africa, L’Africa di Thomas Sankara e La negritude di Aimé Cesaire. Attualmente si trova in Africa per un progetto di formazione e di ricerca.

Chi è Samuel? Dove inizia la sua storia?

Sono un artista e chimico originario dalla Costa d’Avorio. In seguito alla crisi politico-militare che ha vissuto il mio paese, ho deciso di trasferirmi dalla Costa d’Avorio a Mantova nel 2008.

Com’è nata la sua passione per il teatro?

La mia passione per il teatro è nata in Italia. Come artista sono nato proprio qui. Dopo avere effettuato il viaggio, l’Italia rappresentava un nuovo mondo per me. Mi sono reso conto che dovevo ricominciare tutto daccapo: imparare una nuova lingua, una nuova cultura e, a mia volta, presentare la mia. Sentivo anche che era mio compito affrontare alcune tematiche sociali a me care, come ad esempio l’immigrazione... L’arte teatrale rappresentava uno strumento di lavoro e di battaglia per affrontare tutte queste sfide.

Una delle fonti d’ispirazione del tuo lavoro sono le favole e le leggende con forti insegnamenti morali che i racconta-storie portavano tra un villaggio e l’altro. La saggezza popolare suggerisce che abbiamo due orecchie per ascoltare e una bocca per parlare. Crede che esista ancora nella società occidentale contemporanea la figura del saggio? E se esiste, siamo in grado di ricordarci che dovremmo ascoltare il doppio di quanto parliamo? Quanto è importante raccontare?

La società occidentale e la società africana sono diverse. Uno scrittore africano ha detto: ”Un anziano che muore è una biblioteca che brucia”. In Africa l’anziano viene visto come il “saggio”, ovvero colui che ha tanta esperienza della vita, tante conoscenze scientifiche, psicologiche, sociali etc. Nella società occidentale contemporanea penso che la figura del “saggio” non esista, ma è lo specialista (che potrebbe essere molto giovane) di un certo ambito scientifico o sociale che prende il suo posto. Viviamo in una società in cui tanti vogliono parlare ed essere al centro dell’attenzione, ma non vogliono ascoltare. Di conseguenza risulta difficile essere in grado di ricordarci che dovremmo ascoltare il doppio di quanto parliamo. Penso che raccontare sia molto importante. Attraverso il mio lavoro artistico, ho raccontato il mio viaggio, la mia storia, il mondo in cui vivevo prima di venire in Italia. Nel mio modo di raccontare cerco di sensibilizzare, di esortare ed incoraggiare quando è legittimo, senza mai dimenticare l’impegno civile di denunciare.

Il teatro è ‘’messa in scena’’. Perché l’uomo ha la necessita di creare finzione per comprendere la realtà?

Sensibilizzare, insegnare, educare...richiede delle strategie di comunicazione efficaci. Creare finzione è una strategia di comunicazione per affrontare i problemi reali della società. È un processo di elaborazione del messaggio per predisporre l’ascoltatore a riceverlo in modo efficace, in uno stato psicologico e ambientale piacevole.

Lei è laureato in chimica, una materia apparentemente molto lontana dal teatro. Tuttavia, anche in teatro avviene una ‘’reazione’’. Che nome darebbe a questa magia? 

Io darei il nome di “reazione sociale” perché il lavoro teatrale aiuta a costruire dei legami. Crea empatia tra individui di una comunità e di una società.

Nelle precedenti interviste ho trattato il tema della paura del diverso e dell’ignoto. La sua storia ci permette di approcciarci a questo tema da un punto di vista differente. Quando è partito per l’Italia, anche lei viaggiava verso l’ignoto. Come si sentiva? Che situazioni si è trovato ad affrontare? Come è riuscito a convertire la ‘’paura’’ in un sentimento positivo?

Purtroppo la paura del diverso e dell’ignoto a volte crea delle tensioni sociali tra individui. Per quanto mi riguarda, quando sono partito per l’Italia l’emozione era forte. La paura di non potere attraversare la frontiera ed essere rimandato indietro era grande. Dopo essere entrato sul territorio mi sono trovato ad affrontare il problema del riconoscimento del mio status di rifugiato. Con il passare del tempo e attraversando varie situazioni difficili, “la paura” ha modellato il mio carattere. Piano piano ho imparato ad avere fiducia e ad affrontare i problemi con serenità.

Il teatro può essere una risorsa per il dialogo tra culture? 

Certo, il teatro è una grande risorsa per il dialogo tra culture.

Uno dei suoi spettacoli più importanti è La Negritude di Aimé Césaire, figura chiave nella lotta per la dignità e l’uguaglianza tra gli uomini. Quanto è importante mantenere viva la dignità delle differenze? 

La vita è quello che è. Ognuno di noi - neri, bianchi, gialli, ricchi e poveri - ha le sue battaglie. È molto importante rispettare la dignità dell’altro affinché possiamo avere un mondo migliore.

Che ruolo ha in quest’ottica l’ironia?

L’ironia ha un ruolo molto importante. Come autore, scrivendo il mio primo spettacolo, ho creato il personaggio “l’Ambasciatore Mamma Mia” che nel contesto italiano è l’immigrato, il rifugiato oppure il “poverino” per alcuni. Egli si presenta come un ambasciatore, un personaggio molto importante, che critica i problemi della società e rivendica il suo status d’uomo politico.

Vorrei farle una domanda di non semplice gestione. Cercherò di far emergere i pensieri più ‘’comuni’’. Quando le persone si approcciano al mondo dell’immigrazione, solitamente assumono due atteggiamenti: avversione - chi arriva sulle nostre coste vuole privarci del nostro spazio e delle nostre risorse - o compatimento passivo e, in un certo senso, sterile - il classico ‘’oh poverino’’ che dura i 30 secondi della messa in onda della notizia. Cosa ne pensa a riguardo? Quale sarebbe il giusto atteggiamento da assumere? Come si può far comprendere che i migranti non sono solo un numero, ma che sono persone con una storia, con una cultura e con una dignità? 

Penso che i due atteggiamenti sono sbagliati. I migranti non devono essere visti come persone che vengono per privare i cittadini del loro spazio e delle loro risorse. Non sono nemmeno i “poverini”, anche se alcuni dei loro paesi di origine sono relativamente poveri. Il migrante deve essere visto come una persona normale. Per fare comprendere che i migranti sono persone con una storia, con una cultura e con una dignità, la responsabilità deve essere condivisa. Da una parte le autorità competenti e i cittadini dei paesi di accoglienza devono essere disposti a creare le condizioni di una coabitazione dignitosa, ma dall’altra parte i migranti devono lavorare a tutti i livelli per dimostrare che sono persone con un bagaglio storico, culturale e personale.

Crede che il viaggio possa essere un buon mezzo per esercitare la nostra capacità empatica e per comprendere il valore degli uomini?

Certo, per me il viaggio è stato un percorso di crescita personale, oltre che un buon mezzo per esercitare alcune delle mie capacità. Viaggiare serve ad imparare e a comprendere i tanti valori degli uomini.

© Riproduzione riservata

Ringrazio Samuel per avere accettato di riflettere con noi. Se volete seguire il suo lavoro e prendere parte ai suoi futuri progetti, vi invito a visitare il bellissimo sito di Samuel Hili

Nella prossima intervista esploreremo insieme ai gemelli Ouattara, famosi artisti plastici, la cultura di un paese pressoché sconosciuto: il Burkina Faso. 

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