Durante la Media età del bronzo (2.000–1.550 a.C.) la città di Assur stabilì una sofisticata rete di colonie commerciali nel Vicino Oriente. Tra queste vi era l'antica città di Kanesh, un insediamento ai piedi del monte Erciyes in Cappadocia. Le oltre 23.500 tavolette redatte in dialetto paleo-assiro rinvenute nel sito sono i primi documenti scritti che illustrano l'antica storia anatolica e rappresentano ad oggi il più grande corpo di testi privati del Vicino Oriente antico.
La Cappadocia, grazie alla posizione centrale, alla fitta rete di fiumi e alla particolare conformazione geomorfologica, fu abitata fin dal Neolitico pre-ceramico A e B. A fornire una chiara evidenza della presenza di insediamenti umani nella regione, fu la scoperta di Aşıklı Höyük, un villaggio costruito attorno all’8.500 a.C. nell'attuale provincia di Aksaray, considerato fondamentale per la ricostruzione del processo di transizione dagli stili di vita nomadi a quelli sedentari.
Il mito ‘’La regina di Kanesh, i suoi trenta figli e trenta figlie" è uno dei primi miti della letteratura ittita. La vicenda si svolge prima della conquista ittita della Terra degli Hatti, la popolazione autoctona dell’Anatolia centrale. L’incontro tra Hatti e Ittiti ha prodotto una straordinaria fusione tra due culture completamente diverse. I conquistatori ittiti adottarono i beni culturali dei loro predecessori, specialmente negli ambiti inerenti alla religione e alla mitologia.
La prima evidenza scritta della convinzione religiosa della separazione tra anima e corpo nelle antiche civiltà del Medio Oriente, è stata scoperta da un gruppo di archeologi americani nel sito turco di Zincirli, antica Sam’al, nella provincia di Gaziantep. Fino a quel momento si riteneva che in tutte le culture semitiche (Arabi, Ebrei, Cananeo-Fenici, Cartaginesi) l’anima e il corpo fossero considerati indissolubili, tanto che la cremazione dei defunti era espressamente vietata.