IRAN

LA ROSA E LA SPINA

Ero perso con lo sguardo verso il mare.

Ero perso con lo sguardo nell’orizzonte,

tutto e tutto appariva come uguale;

poi ho scoperto una rosa in un angolo di mondo,

ho scoperto i suoi colori e la sua disperazione

di essere imprigionata fra le spine.

Non l’ho colta 

ma l’ho protetta con le mie mani.

Non l’ho colta 

ma con lei ho condiviso e il profumo e le spine tutte quante.

Ah, stenderei il mio cuore come un tappeto sotto i tuoi passi,

ma temo per i tuoi piedi le spine di cui lo trafiggi.

L’idioma dell’Amore non si può veicolare con la lingua:

versa il vino, coppiere, e smetti quest’insulso parlare.

Ḥāfeẓ

‘’Salâm, welcome to Iran!’’ Ecco il mantra che ci tiene per mano e ci guida tra i vicoli del cuore dell’Iran, un paese che viene dipinto con tinte oscure e temibili. Una terra che ci viene tenuta lontana. Un sogno che ci viene proibito ancora prima di essere desiderato. Ma per chi è romantico di natura, per chi vede l’Ignoto come una nebbia irresistibile, l’Iran è una fantasia che seduce e attrae. Il suo aspetto più intrigante non si nasconde tra i preziosi decori dei minareti o tra i fili dei pregiati tappeti, ma nell’impossibilità di accettarne l’immagine monocromatica a cui ci hanno abituato i media. Iran il nemico o il falso nemico? Iran l’austero o l’ameno? L’Iran di Khomeini o la Persia di Dario? Impossibile rispondere a queste domande, poiché l’Iran è tutto questo. Risulta difficile credere che un popolo che ha custodito e fatto propri millenni di storia, arte e poesia, si sia tramutato in un feroce sobillatore. Per molti torna comodo e meno impegnativo non porsi domande a riguardo. Il cieco pregiudizio non vede la bellezza e il non il dubbio risulta più facile da controllare. Ma per quale ragione dovremmo santificare la presunzione di verità dei media e sacrificare sull’altare del tacito assenso questo piccolo, ma emblematico desiderio, permettendo ad altri di dirigere la nostra coscienza? La politica ha smesso di esercitare il proprio dovere originario. Si è data all’arte di plasmare le menti. L’economia e la società degli influenzatori e degli influenzati hanno fatto il resto, rendendo gli uomini estranei agli uomini. Ho sempre avuto un debole per il concetto di ‘’straniero’’, forse perché anch’io un po’ lo sono. In quell’idea l’Iran c’è sempre stato. E dove può dunque rifugiarsi uno straniero per sentirsi meno straniero? Nello straniero stesso. Questo è uno dei motivi per cui sono partita per l’Iran. Mi sono concessa il lusso di viaggiare sola per essere libera di sentire sulla mia pelle e nella mia anima il sapore delle coerenti incoerenze di questa terra che riflettono come uno specchio impietoso quelle dell’essere umano. ‘’Da sola, donna, nella Repubblica Islamica dell’Iran? Tu sei matta! Loro non sono come noi’’. Ma noi chi? La simpatia per gli incompresi e la voglia di vincere i pregiudizi mi hanno rubato il sonno nelle notti prima della partenza. Se prima di intraprendere questo viaggio l’Iran rappresentava un esercizio di libertà contro il sistema di dogmi da cui siamo bombardati, al ritorno ho capito che così non era. Non era un viaggio tramite me per loro, era un viaggio tramite me per me. Quando le stesse persone che mi giudicavano una pazza coraggiosa per essere partita in solitaria verso il grande nemico, mi hanno chiesto che situazione ho trovato, ho risposto semplicemente ‘’amore’’. Le espressioni sbalordite mi hanno fatto sorridere. Come si può parlare di amore nel paese che per eccellenza viene identificato con la guerra? Paradossale forse, ma vero. Nel momento in cui mi sono tolta l’elmo della ragione e ho permesso all’istinto di condurmi tra le sue braccia, ho iniziato a vedere non con gli occhi, ma col cuore. Ho respirato a pieni polmoni l’aspro profumo di questa dolce rosa di nome Iran. Ho amato anche le sue spine, che più volte mi hanno punto con il severo sguardo di Khomeini, con i sorrisi dei giovani martiri e con il sarcasmo dei murales dell’ex Ambasciata Americana di Teheran. Lo sbaglio sta nel fermarsi a questo, nel vedere solo le spine, dimenticando il profumo della rosa. Spesso ci si sente destabilizzati, disorientati. Dov’è finito il grande nemico dell’Occidente? Dove si cela? Posso credere che si sia nascosto tra le rughe dell’anziano professore d’inglese in pensione che mi ha fatto compagnia tra le meraviglie di Shiraz o negli occhi buoni del giovane studente che mi ha recitato i versi di Ferdowsi? Siamo troppo abituati a sezionare scrupolosamente ogni cosa per capire che, tuttavia, esistono delle unità composite. L’Iran delle persone, non della politica, ne è uno dei più grandi esempi: dal giovane zoroastriano, alla signora avvolta nel nero chador, alla ragazza reduce da una rinoplastica, all’uomo che sembra uscito dai bassorilievi di Persepoli, tutto rientra in questo universo multiforme. Se dal punto di vista dei media l’elemento caratterizzante dell’Iran è la religione, nel dialogo con gli iraniani non appare essenziale, anzi. A differenza dei paesi arabi dove sempre viene chiesto ‘’Sei musulmano?’’, gli iraniani chiedono ‘’Da dove vieni?’’. Una semplice domanda che però fa comprendere come l’umanità, l’amore per gli stranieri e la valorizzazione delle differenze sono i tratti distintivi di questo paese giudicato, ma mai giudicante. Avrete già intuito da queste poche parole che sarà molto difficile dare una descrizione oggettiva e impersonale. Quello che fino a poche ore prima della partenza era un potenziale nemico, si è rivelato un grande amico che ha saputo ospitarmi e farmi sentire parte di una storia. Delle tante attrazioni da visitare e vedere in Iran ne parlano molte guide e siti. Rimetto a loro il compito di fornire precise ed esaustive spiegazioni. La mia unica volontà è quella di ripagarlo con i miei pochi mezzi, dando ascolto alle emozioni che mi hanno fatto visita in questo breve, ma intenso viaggio. È successa una cosa strana, un fatto difficile da spiegare a parole. Ho sentito il suo ritmo. Ho ballato con lui. Era maledettamente simile al mio. Fin dai primi passi tra il traffico caotico di Teheran ho intuito che il segreto per accedere al cuore di questo Paese non sta nei libri, nelle fotografie o nelle parole, ma nel ritmo nascosto nei suoi silenzi. Dell’Iran conserverò il ricordo dell’imponenza delle sue piazze, della fine arte dei mina di Isfahan, degli specchi di Shiraz e dei tappeti di Tabriz. Chiuderò gli occhi per risentire il profumo d’incenso, il rumore delle serrande dei bazar, il sapore del ghormeh sabzi, la sensazione di sicurezza e i tanti incontri che ho avuto la fortuna di fare. Ma non solo questo. Ricorderò di non essere mai riuscita a dare un nome agli sguardi che ho incontrato. Mentre scrivo queste parole, mi torna in mente Rumi. Egli diceva: ‘’Di là dalle idee, di là da ciò che è giusto e ingiusto, c’è un luogo. Incontriamoci là’’. Più volte in quei giorni ho avuto la sensazione di trovarmi in quel luogo, un luogo a cui non si può dare un nome. Non so se definirlo innamoramento. Non lo so e non voglio saperlo. So solo che questo non è un addio. È un khodā hāfez Iran. Arrivederci, caro falso nemico, lontana terra in cui si è stranieri, ma non si è stranieri. © Riproduzione riservata

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