shiraz

IL MONDO DEGLI SPECCHI

Abbandona i tuoi timori

e sii di cuore totalmente limpido,

come la faccia di uno specchio

che non contiene immagini.

 

Quando è vuoto di forme,

tutte le forme son contenute in esso.

Nessun volto si vergogna

di essere così limpido.

 

Se vuoi uno specchio limpido

contempla te stesso,

e guarda la spavalda verità

che lo specchio riflette.

 

Se il metallo può venire polito

e lucidato per diventare specchio,

che politura richiederà

lo specchio del cuore?

 

Tra lo specchio e il cuore

c’è una sola differenza:

il cuore nasconde segreti,

e non così lo specchio.

Rumi

Shi-raz. Lo sussurro piano nella mia mente. Ne sfioro le sillabe con la mano del cuore. Shir-az. Una dolce poesia recitata da labbra invisibili. Apro le braccia e mi lascio attraversare dal ricordo di una mistica musica che riesce ad armonizzare tutti i suoni dell’anima. Shi-raz. Un ritmo che ci rende folli e consapevoli al tempo stesso di essere in marcia sul sentiero dello spirito. Il vento e le voci delle montagne di Tabriz mi avevano risvegliato da un profondo sonnambulismo. Gli sguardi con cui avevo dialogato avevano riportato in vita emozioni addormentate di cui non ricordavo l’esistenza. Avevo ricordato di avere nascosto un antico baule in un angolo buio dello spirito. L’inquietudine mi aveva consegnato il suo ricordo. Shiraz mi fornì le chiavi per aprirlo. Tra i suoi stretti vicoli sono avvenuti degli accadimenti a cui ancora oggi ripenso. Non sono ancora riuscita, e forse non riuscirò mai, a raccontare questa esperienza in modo diretto. Sto sperimentando i limiti del linguaggio dinnanzi allo sconfinato territorio dello spirito. Sto riscoprendo la poesia e le allegorie come unici mezzi per dare forma a ciò che non ha forma. Se dovessi disegnare Shiraz con una parola, userei ‘’specchio’’. Quante volte ci specchiamo in una giornata? Oltre a controllare i capelli, il trucco e le nuove rughe, abbiamo mai fissato i nostri occhi? No, o almeno, non in profondità. Per il nostro stile di vita, soffermarci a guardare il nostro sguardo risulta un ‘’sentimentalismo’’ inutile e improduttivo. L’occasione di fissare il mio sguardo dopo molto tempo mi è stata offerta durante la visita del mausoleo di Shāh-e Cherāgh. Era il mio ultimo giorno a Shiraz. Nei giorni precedenti mi ero lasciata trasportare dalla sua poesia. Avevo dimenticato la cartina e l’orologio. Una tazza di tè in compagnia di un professore di inglese in pensione mi era sembrata più preziosa della vista dell’incantevole moschea Vakil. Ascoltare le poesie di Hafez seduta sotto l’ombra di una palma del giardino Eram era stato più importante di visitare la sua tomba. La visita al mausoleo di Shāh-e Cherāgh era iniziata nei migliori dei modi, grazie alle premure delle addette al chador. La fortuna mi aveva inviato Emilio, un avvocato che nel suo tempo libero faceva la guida per i turisti stranieri. Il suo nome, che ovviamente non era Emilio, derivava dal suo sfrenato amore per l’arte italiana e dal forte desiderio di iscriversi alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano. Dopo un delizioso tè verde, dei dolcetti allo zafferano e l’intonazione di O mia bela Madunina, è iniziata la nostra visita al mausoleo. Lungo il tragitto dall’ufficio della sicurezza all’entrata al Shāh-e Cherāgh, abbiamo notato un altro turista. I suoi colori e i lineamenti del viso, lasciavano intuire che fosse un europeo del nord. Emilio, certo che sarebbe stata cosa gradita ad entrambi, mi portò dall’altro turista per condividere la visita alla parte del mausoleo accessibile ai non musulmani. Varcata la soglia, una moltitudine di piccoli specchi riflettevano gli abbaglianti raggi del sole. Come calamite, attiravano i colori delle vetrate e poi li ridonavano ancora più splendenti e brillanti. Stregata da questo incantesimo mi avvicinai per toccarli. Emilio, che aveva assistito alla magia nata tra gli specchi e i miei occhi, mi stava dietro, pronto a fare domande per fornirmi risposte. ‘’Guarda. Cosa vedi? La tua immagine divisa in mille parti che non combaciano. L’Uomo è essenzialmente visione e il resto è solo carne e pelle’’. Infastidito da questo momento di preziosa riflessione, il tedesco cominciò nervosamente ad aprire le cerniere dello zaino alla ricerca della sua Lonely Planet. Dopo aver rumorosamente sfogliato le pagine delle guida, iniziò a rivolgere una serie di domande a raffica ad Emilio, che nonostante i modi bruschi, aveva mantenuto il suo sorriso sereno. Data di costruzione dell’edificio, nome dell’architetto, metratura, nome delle persone ivi sepolte, stile architettonico e provenienza dei materiali per la costruzione. Dal riflesso degli specchi guardai il volto del turista tedesco. Vedevo le labbra di Emilio muoversi, ma sentivo le sue parole lontane. Per scacciarle e rimanere nel mondo degli specchi, mi sedetti sul tappeto. A fianco a me vidi una piccola tavoletta d’argilla tondeggiante. Emilio che parlava con la bocca, ma non con il cuore, abbandonò il tedesco che stava ancora chiedendo delucidazioni sulla provenienza dei lampadari. ‘’Murano, Italia’’. E si sedette. ‘’Questo è un mohr, un cubetto di argilla proveniente dalla città santa di Kerbala. È il luogo della prostrazione. Ci ricorda che siamo venuti dalla terra e che alla terra torneremo. Tienilo, è tuo’’. Lo misi nella tasca del cappotto e tornai agli specchi. ‘’Rumi, il grande padre del misticismo, diceva di fare attenzione agli specchi ipocriti. Ecco perché questi sono tutti spezzati: per dare la possibilità a chi si guarda di non vedere il corpo, ma lo spirito. Quando uno specchio è privo di immagini raggiunge lo splendore, poiché allora riflette tutte le immagini. Questo è il segreto’’. Avevo letto quelle parole nel mio libro delle poesie di Rumi, ma solo in quel momento ne compresi il significato. Mi sentivo triste per il tedesco. Se avesse smesso di cercare dati tra le righe della sua guida, avrebbe trovato una guida tra le righe degli specchi. Una comitiva chiassosa di turisti asiatici fece il suo ingresso nella sala ed Emilio ci invitò ad uscire per rimetterci le scarpe. Il tedesco ci salutò con tono di compatimento e un sorriso malevolo. Non era soddisfatto. Forse doveva ancora trovare il suo sentiero. Quanto a me, salutai Emilio e lo abbracciai con un sorriso. Con il mohr in tasca mi diressi verso l’hotel per riprendere la valigia e ripartire. Dopo qualche ora sarei partita alla volta di Esfahan. Mi sentivo felice per il dono che mi era stato mostrato, ma ad ogni passo verso l’albergo l’inquietudine ritornava prepotentemente a farmi visita. Non volevo lasciare Shiraz, una città che come una poesia irradia un nettare dolce che fa dimenticare ogni turbamento. Ma era ora di uscire dal mondo degli specchi e andare incontro ad un’altra prova. Ripensai al re. Vedi caro amico, saresti dovuto restare e contemplare la tua anima, ma hai scelto di proseguire. Ora eri in viaggio verso l’Iraq e chissà quali altre avventure ti attendevano. Forse ora starai capendo di essere un re. E con la sua immagine e il mohr in tasca partii per Esfahan.    © Riproduzione Riservata

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Shiraz è il capoluogo della provincia di Fars, una delle regioni più belle ed interessanti dell’Iran. Situata su un’alta terrazza al centro di un’oasi ben coltivata dei Monti Zagros, si trova lungo la grande via di comunicazione che dal Golfo Persico conduce all’Iran centrale. Il nucleo della città vecchia fu fondato nel VII secolo ed ebbe periodi di grande splendore in epoca medievale, toccando la sua acme nel XV secolo sotto i Timuridi. Nel 1668 gravi inondazioni e la peste determinarono un periodo di decadenza disastroso per Shiraz. All’inizio del 1700, proprio quando la città stava iniziando a riprendersi, i ribelli afgani, dopo aver distrutto molti monumenti storici, iniziarono a massacrare la popolazione. Tuttavia, sotto il governo di Karim Khan Zand, uno scià di origini curde, Shiraz ha riacquistato la sua antica prosperità e fu eletta come capitale per circa un ventennio nella seconda metà del XVIII secolo, fino a quando nel 1813, nel 1824 e nel 1853 tre terribili terremoti sconvolsero ancora la città. L’instabilità geologica e le diverse conquiste straniere hanno distrutto molti edifici importanti, ma fortunatamente Shiraz ha saputo preservare un ricco patrimonio culturale intangibile. Oltre che per i giardini e le splendide moschee, Shiraz è nota, infatti, per essere la capitale letteraria dell’Iran. Filosofi, poeti e mistici, come i celebri Hafez e Sa’di, hanno prodotto i loro capolavori proprio in questa città, dove tutt’ora sono sepolti. Questa atmosfera che profuma di poesia, vino, amore e rose, inebria tutto il centro storico. Anche se spesso Shiraz passa in secondo piano rispetto a Esfahan, credo che le dimensioni più ridotte, la pace, il calore umano e la poesia declinata in tutti i suoi aspetti, rendano Shiraz veramente unica e imperdibile.

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